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Contro di te io pecco


Forse poco pensiamo e riflettiamo sul peccato, come “offesa” a Dio. Arriviamo fino ad ammettere che il peccato è inosservanza della legge di Dio, ma non andiamo oltre.

Eppure i nostri errori possono essere considerati a tre diversi livelli.

Il primo livello: ci dispiace di non esser stati buoni, osservanti delle leggi (anche del decalogo), di essere stati cretini fino a morderci le dita. Tutto questo è un ripiegarci su di noi, scoprirci meno bravi e meno buoni di quanto ci eravamo proposti e credevamo di essere. Questo non è peccato, ma mera ferita contro il nostro narcisismo.

Il secondo livello: ci accorgiamo di aver recato un danno o un’offesa al di fuori di noi: contro il prossimo, contro la natura, contro la società, ecc. Qui ci troviamo a livello di colpa, nell’accorgerci dell’ “altro da noi”.

Il terzo livello: ogni danno a noi stessi, alla natura, agli altri, ha un necessario rapporto con Dio. “Contro di te abbiamo peccato”. La colpa si eleva al rango di peccato.

E’ facile comprenderlo. Io so che se qualcuno calpesta la mia aiuola, calcia il mio cane, sparla del mio più caro amico, io mi sento ferire personalmente, perché sono legato affettivamente alla persona o alle cose che ricevono il danno.

Dio è Amore infinito. Egli ama il “suo” cosmo, le “sue” creature, i “suoi” figli. Offese e danni provocati a queste realtà, o, peggio, alla “sua” persona, sono dispiaceri “suoi”, cioè peccati. Nessun nostro errore, di qualunque genere, è esente dal riferimento al nostro Padre. Però è sufficiente un atto di amore e di rincrescimento rivolto a Lui. Lui è Amore che perdona.

GCM 14.12.05