Chissà perché, quando ci rammentiamo di Dio, lo carichiamo delle nostre sollecitazioni!
Salmi e liturgia sono zeppi di “ricordati, Dio”, “sii propizio!”, “non adirarti”, “svegliati, Signore”, “finalmente perdona i nostri errori”, ecc.
Sono tutte sollecitazioni a Dio, affinché faccia il suo mestiere e il suo dovere di perdonare, di vegliarci, di essere paziente, di ricordarsi... come se la memoria di Dio fosse arrugginita, o se Dio si fosse distratto.
E’ ben vero che trattare familiarmente Dio è privilegio e gioia dei figli. Ma sembra che noi ci rivolgiamo piuttosto a un nonno vecchietto, che a un Padre sempre operativo.
Anche quando ci rivolgiamo a Dio per il perdono, avviene una stranezza. Sembra quasi che facciamo di tutto per strappargli di mano un perdono, che lui stenta a concedere.
E non ci ricordiamo che Dio da sempre è un Dio misericordioso e perdonante. Egli non fabbrica un perdono a piccole dosi, misurandolo sul bilancino del farmacista, per dosare la quantità del perdono in proporzione alla quantità del pentimento.
Dio da sempre ha perdonato. Il suo perdono è già attivo e giace a nostra disposizione. Il nostro pentimento non produce il perdono di Dio, ma semplicemente lo accoglie, quasi sfruttandolo.
Il perdono di Dio non lo creiamo con le nostre suppliche, esso è costante dell’amore di Dio. Non deriva da noi, ma da lui.
E ciò stimola la nostra fiducia. Non la fiducia nella nostra misera capacità di implorare, bensì nell’immensa capacità dell’amore di Dio nel perdonare.
GCM 02.04.11, pubblicato 10.09.11