Vivente

S. Paolo esorta noi, cristiani, a offrirci a Dio, come un “sacrificio vivente, santo”.

Essere sacrificio, ossia entrare nel recinto del sacro, nella proprietà e nella famiglia di Dio.

La frase è, evidentissimamente, desunta dal linguaggio culturale sia pagano che ebraico.

Il sacrificio era caratterizzati dall’uccisione della vittima, che entrava nel contatto del sacro, dopo l’offerta dell’uccisione. Senza vittima, il sacrificio era insignificante.

Nelle parole, che Paolo ci rivolge, il sacrificio invece  è vivente. Poiché è vivente chi per noi si è offerto, come ostia di espiazione per i nostri peccati.

Il nostro offrirci a Dio, è un immediato partecipare del Gesù vivo, grazie alla fede che ci unisce a lui, qui e ora, e ci permette di vivere in lui.

Sacrificio vivente. Non c’è necessità di nessuna morte, di nessuna mutilazione; anzi immetterci nell’atmosfera di Dio, aumenta la nostra vita, lanciata ormai nell’infinito.

Cade così una letteratura tetra di rinuncia e di oppressione. Per restare viventi nell’offerta, è necessaria la fede e l’agire secondo le esigenze della fede, con una condotta pura e libera dalla catene del peccato.

Il sacrificio vivente è anche “santo”. E’ interessante notare che il sacrificio vivente non ci immette nella zona del “sacro” (creazione degli uomini), ma nel “santo” (creazione di Dio, che ci partecipa la sua santità).

Vivente e santa diventa la nostra offerta, perché non è solo nostra, ma è permeata dallo spirito di Gesù, che è Santo.
E’ un’offerta gioiosa ed esaltante.             
        GCM 31.08.08