Ho udito una frase, ripetuta anche, da una persona, che ripeteva di essere credente: “Ciascuno preghi il suo dio”. La frase fa trasalire un credente. Essa, alla lettera, dice che esistono molti dei: un ritorno netto al politeismo.
Forse la persona intendeva dire di pregare l’unico Dio, pur nominato con descrizioni diverse. Ciò sarebbe più esatto.
Forse le denominazioni diverse sono un fatto culturale o tradizionale. Però “nominare Dio”, dando al nome la qualità che descrive Dio stesso, è un pretendere di racchiudere Dio in una definizione, nella quale Dio non può restringersi.
Dio è l’innominabile, perché è al di là di ogni finitezza umana. Paolo, per annunciare Dio all’Areopago di Atene, prendeva l’avvio dal “dio ignoto”.
Il Cristianesimo, e Gesù per primo, non attribuisce un nome a Dio. Invece, quando parla di Dio, ne dice solo quelle “funzioni”, che Dio sviluppa verso gli uomini.
E’ Padre, perché svolge la funzione di padre. Padre non è il nome di Dio, ma una sua funzione verso Gesù e verso di noi.
Creatore non è il nome di Dio, ma ciò che di lui percepiamo, quando partendo dal mondo, ammettiamo che il mondo fu creato da Dio.
Dio non è nominabile, eppure Dio non è anonimo. Non è energia oscura, alla quale non ci si possa rivolgere con un tu. Proprio la sua infinitezza, il suo essere senza confini, rende il suo tu più grande e più potente. Non si può abbracciare Dio, ma egli ci può abbracciare.
Il fatto che nella tradizione biblica ricordiamo un Dio che non si autodefinisce a uso e consumo di un popolo, rende il suo nome impossibile, eppure la sua presenza sicura e anche speciale in Gesù.
GCM 26.09.09