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Gloria del Padre

         Le cattive traduzioni cambiano il senso delle frasi. Mi richiamo al “Gloria al Padre”. Questa è una pessima traduzione dal latino. Il latino recita “Gloria Patri”. Quel “Patri” è un dativo che unito al verbo essere, indica possesso. In realtà la vera traduzione, che noi abbiamo imparato nel latinuccio delle medie, ci darebbe un : il Padre possiede la gloria, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo hanno la gloria (ossia la divinità autentica, secondo la parola semitica biblica), quella gloria che è eterna, ossia la possedevano da sempre, adesso e senza fine.
         Si tratta, perciò, di un’affermazione, di un umile riconoscimento di ciò che Dio è oggettivamente, di un sussulto di orgoglio per avere un tale Dio grandissimo come Padre.
         La traduzione corrente invece si riduce a un augurio: sia gloria al Padre. Un dare a Dio una gloria, un onorarlo con le nostre parole. E’ un passaggio dall’oggettività (il Padre è Dio) alla soggettività (io tributo onore). E’ un abbandonare l’estasi contemplante, per ridurci a un’attività osannante. Il significato è stravolto.
         Come invece è bello perderci nella gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! Accennare con le parole e poi soffermarci in un silenzio attonito e dolce, lasciando che il contenuto di quanto abbiamo affermato con la voce, penetri lentamente nel nostro cuore! Ci si trova tuffati nella stessa divinità, che viene ammirata e gustata.
         L’immensità si fa largo nel nostro animo. Per un istante sono superate tutte le barriere: spazio, tempo, paure, durezza di cuore, fretta e ansia. La bellezza eterna ci commuove, e l’anima si eleva e gode.
         Sì: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno la divinità. E noi restiamo soavemente muti.
                GCM 13.09.07