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Dio nel tempo

“Dio, che ci ha liberato dall’Egitto, ora diciamo: Dio che ci ha liberato da Babilonia”. Lo stesso Dio, che cammina con la storia, ci aiuta ad accettare il nostro adattamento, la nostra flessibilità. La rigidezza non è in Dio, e non può regnare in chi crede in Dio. Per due motivi.

Primo: Dio si dona, è lui il dono. Il linguaggio ebraico ci aiuta. E forse riusciamo anche a intuire perché Dio ha scelto quel popolo per manifestarsi.

Il profeta Geremia parla di “Dio-nostra-giustizia”. Non è solo Dio sorgente di giustizia ( ossia di santità: soltanto il santo è giusto), ma Dio che diventa la giustizia in noi. Lui crea e diventa presente in ciò che ha creato, pur restando se stesso, anzi proprio perché entra come se stesso in ogni realtà che crea, resta evidentemente se stesso.
Questo tipo di presenza di Dio, supera le categorie di causa - effetto, imposte dal pensiero aristotelico. Infatti la causa non sta nell’effetto, ma resta distinta dall’effetto. Io creo (causa) una musica (effetto), ma non sono nella musica, non sono nel canto o negli strumenti.

Dio-nostra-giustizia è una realtà che supera il concetto di causa ed effetto, perché la creazione stessa è la “gloria di Dio”.

Secondo: nulla nel tempo è ”definitivo” perché il tempo non è ancora finito, e quindi stabilizzato. Anzi quando noi riusciamo a definire una cosa, questa diventa pedana di lancio, per altre scoperte. Scienza e filosofia, nel loro divenire, non possono mai dire l’ultima parola.

Neppure la teologia, nel suo affannoso e glorioso ricercare, può mai dire l’ultima parola.
L’ “Ipse dixit” se pretende di essere scoperta definitiva, è ridicolo e bugiardo.

Nemmeno le definizioni dei Concili o del diritto canonico possono vantare la pretesa di dire l’ultima parola. Esse sono semplici trampolini per ulteriori lanci.

GCM 18.12.07