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Spirito e amante

Quando prendiamo in mano il Vangelo, oppure lo udiamo proclamare, la domanda che ci rivolgiamo spontaneamente è sempre: “Che cosa mi dice il mio amante?”

La parola dell’amante attira e addolcisce la vita. Noi per “amante” (povero aggettivo umiliato a indicare una menzogna moralmente condannata) difficilmente intendiamo una persona che davvero ci ama visceralmente. Eppure l’unico amante che non desiste, perché non è in grado di desistere dall’amarci, è uno solo: Lui, il Padre di sempre e di tutti, Dio.

La gioia di sentirlo parlare è indicibile: parla proprio a me e a te, sempre. E noi udiamo la sua voce ogni momento in cui vogliamo ascoltarla.

Addirittura il testo sacro dice che la sua parola è sulla nostra bocca e nel nostro cuore. Parola di sempre, chiara e affettuosa. Forse i genitori ci hanno educato poco all’affetto, con il loro affetto. Non ci hanno stimolato ad accorgerci del loro affetto. E perciò siamo in debito nel nostro accorgerci dove sta il vero affetto.

E’ vero che da questa diseducazione, che in non poche persone segna tutta la vita, il Padre ci può ridestare, partecipandoci il suo Spirito. Ma noi siamo talmente segnati dall’inaffettività (da ciascuno di noi  testardamente conservata, per non contraddire ai dettami razionalistici), che non riusciamo a rinunciare ad essa, quasi fosse un tesoro, e ci sembra di essere smarriti, quando ci viene donato un affetto autentico.

Anziché disporci all’opera dello Spirito, preferiamo negare lo Spirito di Dio, perché la presunzione di essere maturi e perciò superiori, ci fa rifiutare ogni emozione che non riusciamo a sottoporre al nostro giudizio.

E lo Spirito Santo è buono: non ci forza, attende, che si apra anche una minima fessura nel nostro cuore.

GCM 19.08.11, pubblicato 24.11.11