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Dio nel cuore

Porrò la mia legge nel loro cuore, perciò non avranno più la necessità di cercare dei maestri, che indichino la strada.

Questa certezza di essere illuminati da Dio, come troviamo variamente enunciato nel Vangelo, negli Atti degli Apostoli, nella Lettera agli Ebrei, è la vita della chiesa, ed è la vita, anzi deve essere la vita di ognuno di noi che impersoniamo la chiesa.

Stranamente, ci sfugge una verità: noi impersoniamo la chiesa. Noi, non io. Oppure io, perché noi.

Eppure chiaramente è detto che la chiesa paricolare assomma la chiesa universale. E la chiesa particolare non è l’episcopio o la cattedrale, che sono semplici riferimenti visibili. La chiesa particolare siamo noi. Sono io, sei tu, nell’unità di Gesù.

La legge di Dio è stampata nel mio cuore, poiché sono chiesa e fino a che resto chiesa. Eppure è nel mio cuore sicuramente.

Ridestare questa legge del Signore, è continuo gioioso compito a noi affidato. Così il “conoscere” la legge, si trasforma in sperimentare “quanto è buono il Signore”. Sperimentare il Signore, non sulla linea dell’albero della “conoscenza del bene e del male”, ossia dell’esperienza contradditoria, che era piantato nell’Eden.

Secondo il mito biblico, l’Eden concedeva solo l’esperienza primordiale del bene. Era la felicità. Quando Eva volle curiosare in ciò che si svolgeva oltre il confine del bene, credette di entrare nell’ottimo (ossia Dio), e si trovò nel peggio di nuove esperienze non corredate di bene. L’ottimo era acquistato con l’obbedire, non con l’opposizione alla “legge di Dio nei cuori”.

Obbedire al nostro cuore, irrorato da Dio, è obbedire felicemente a Dio.

GCM 16.04.11, pubblicato 12.07.11