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Rassomiglianza 2

Il brano del Vangelo di Luca: dove si narra di quel padre dal cuore d’oro, così tenero da far festa a un figlio scavezzacollo, che per bisogno, per interesse, ritorna a casa, dove è speranzoso di poter sfamarsi.

Qualche persona, al leggere la parabola si chiede a quale figlio assomiglia. Quasi tutti si vedono nel figlio delinquente, perché abbisognano di esser perdonati.

Ad ogni modo,  a quale persona della parabola ci sentiamo simili? E, a quanto mi consta dai colloqui con le persone, molti si chiedono: assomiglio al figlio delinquente? Altri si chiedono: sono simile al figlio per bene... seppure con qualche difetto, perdonabile? Accampo richiesta di pietà, come il figlio minore? Richiesta di giustizia, quasi rimproverando Dio, che sembra mi abbia trattato ingiustamente? Insomma: a quale dei due figli rassomiglio?

Però nel testo evangelico si muove  una terza persona: il Padre. Perché, da figlio di Dio non mi chiedo: assomiglio a mio Padre?

Siamo figli: assomigliamo al Padre? Se una persona mi ferisce, mi priva dei miei averi, riesco a soffrire e aspettare? Continuo ad amare davvero chi mi ha ferito? Attendo con pazienza che la vita, anche con i suoi scossoni, rimetta le cose in armonia? Quando chi mi offende, ritorna a me, so superare la “rivincita” del perdono, con l’abbraccio assolutamente libero e festoso?

So attendere che chi non mi capisce, e mi rimprovera per un comportamento semplice e corretto, entri nella mia visuale? So con chiarezza dire le ragioni del mio modo di agire, non cedendo al mugugno, ma ripetendo con pazienza le mie ragioni, proprio come fa il padre della parabola di Gesù, con il figlio più vecchio?

Insomma, io figlio di Dio, quanto assomiglio a mio Padre grazie alla forza trasformatrice del suo Spirito?       

GCM 14.03.10 , pubblicato 21.11.10