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Davvero figli

Ogni volta che mi imbatto su quel “figli adottivi di Dio”, sento che qualche cosa di urgente contrasta dentro di me. Figli adottivi, ossia non figli del Padre, ma ospiti accolti a far parte della famiglia, i quali devono recitar la parte di figli e il padre recitar la parte del padre, mentre è soltanto un benefattore o, al massimo, un assistente sociale.

S. Paolo mi assicura che fin dall’eterno il Padre mi ha voluto. Proprio nell’eterno, quando (l’avverbio però non rende, perché nell’eterno non esistono fasi temporali) il Figlio era presso Dio, e il Verbo era Dio.

Il Padre  mi ha generato nell’eterno, sebbene in “modo” diverso dal Verbo. Però, se è vero che Logos vuol dire progetto, allora anch’io sono stato incluso nell’unico eterno progetto.

Non sono un adottato, sono un autentico. Gesù dice: “Il Padre mio e il Padre vostro”, e distingue e unisce. La traduzione che recita “figlio adottivo”, mi fa essere, fondamentalmente un estraneo a Dio. Un pagano che è accolto, ma che non ha diritti. Però Paolo mi dice che da sempre Dio mi ha stabilito di essere suo.

Paolo ai Galati scrive che Dio, fin dal seno della madre aveva destinato l’apostolo, il quale dopo il pervertimento, che fa parte della natura umana, ha “scoperto” in sé (en emoi) il figlio di Dio. Non l’ha costituito in quel momento, ma l’ha reso patente.

Noi peccatori nascondiamo e bruttiamo i connotati divini in noi. L’amore di nostro Padre, li “rispolvera” restituendoli alla luce primitiva.

Il pentimento per il nostro peccato si fa, quindi, più cocente, e la confidenza aperta in Dio, si fa ogni giorno più gioiosa.

GCM 02.07.09