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Parola contemplata

Fino a che la parola di Gesù non diventa contemplazione, restiamo fuori di essa, esuli e stranieri.

Eppure lo Spirito ci dice, tramite l’apostolo, che non siamo più stranieri, ma concittadini dei santi ed entrati nella casa di Dio.

Le parole di Gesù sono seme, sono invito alle nozze del figlio del re. E’ necessario entrare nella casa e mettersi a mensa, per oltrepassare lo sbarramento di un mero invito.

Contemplare non significa restare sospesi dalla realtà, tuffati in un mondo stratosferico. Quando contempliamo un tramonto, restiamo sempre con i piedi per terra, e con gli occhi rivolti alla realtà.

Udendo la parola di Gesù, ed entrando nella contemplazione, il contatto con la realtà della parola rimane intatto, e ci immette in una realtà ampiamente squadernata. Eppure sentiamo che attorno a noi si è creata un’atmosfera nuova, l’atmosfera dell’unione con Gesù.

Gesù è presente; ce lo assicura la fede. Restare nella fede in Gesù presente è sicurezza di contemplazione autentica.

Fino a che siamo su questa terra, la fede è la sostanza di ciò che si spera. Uscire dalla fede, per contemplare astrattamente, ci conduce all’illusione.

Eppure solo se la parola di Gesù si fa contemplazione, questa parola diventa carne della nostra carne, sensibilità per le cose che salvano noi e gli altri. La contemplazione richiede purezza di cuore.

Quando il diacono o il sacerdote stanno per proclamare il Vangelo, durante la Messa, si predispongono chiedendo a Dio di purificare il loro cuore e le loro labbra. Perché la parola entri in noi, il cuore deve essere sgombro (da preoccupazioni, da odio, da peccato) e vuoto, per accogliere quella parola che poi sarà contemplata.

GCM 26.08.09