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Lingua povera

Noi siamo abituati a dare un unico significato ai vocaboli. Il nostro vocabolario è ricco di molte migliaia di termini, e riusciamo anche  a descrivere le sfumature di una situazione o di un oggetto.

Invece il vocabolario ebraico antico e quello aramaico del tempo di Gesù, sono ristretti nel numero di lemmi, e perciò la stessa parola è capace di includere molti significati. E’ necessaria molta intuizione per cogliere lo specifico significato, tenendo risaltato il contesto, sociale ed emotivo, nel quale quella parola  è incastonata.

Nel tradurre dall’ebraico, già la più antica traduzione che è quella dei Settanta, si ferma al significato più in vista, non potendo estrinsecare ogni sfumatura contenuta nel singolo vocabolo.

Con l’andare del tempo presso l’occidente quel significato più in vista rimane l’unico, e così si perde la ricchezza di contenuti, che ogni vocabolo trascinava con sé.

Queste osservazioni non servono a una lezione filologica, ma a renderci più attenti alla Parola di Dio, per non depauperarla, e per entrare in essa con un supplemento di intuizione e di fantasia.

Si può anche riflettere perché Dio, per rivelarsi, abbia privilegiato una razza piccola, con un linguaggio povero. Forse perché le immensità di Dio, sono più facilmente intuibili, dove c’è meno scialo di parole. S.Paolo metteva in guardia dai parolai, come scrive per esempio nella Lettera a Tito; e perché Gesù raccomandava di non pregare come i pagani, che usano molte parole nel pregare.

GCM 01.05.09