La lettura biblica, quando avviene in un contesto di preghiera, assorbe tutte le nostre forze, per trovarle immesse in Dio, che si comunica attraverso la parola. Il movente, il motore, è il Vangelo o la parola rivelata. La sua dizione è tale, per cui i presenti devono sentirsi fasciati dall’atmosfera di quanto si sta leggendo: episodio o riflessione.
Chi coordina, esprime per primo (o per ultimo) ciò che ha scoperto e gustato leggendo: gustato filologicamente, o confrontando la parola letta con altre parole di Dio. Egli deve offrire agli altri quanto lo Spirito ha suggerito a lui. Infatti la parola di Dio non è completa se non diventa comunitaria. Per la comunità essa è stata scritta, alla comunità deve arrivare.
I tagli prospettici della Parola sono molti: ciascuno la guarda secondo la propria esperienza, la propria sapienza e l’età cronologica e spirituale, nella quale è arrivato. L’importante, che ciascuno si esprima nell’autenticità donata dallo Spirito.
Dopo (o prima) che il coordinatore ha espresso il proprio vedere e il proprio sentire la parola, i presenti offrono quanto sono riusciti a vedere e a sentire: la parola suscita un dono reciproco. Senza questo dono, essa perde di vigore e si volatilizza.
Quando il gruppo si è espresso, immerso e incentrato nella parola, si sente il bisogno di pregare. La preghiera è, prima di tutto, ringraziamento per il dono comunitario ricevuto. La lectio divina è sempre un regalo di Dio, del Padre; regalo che si rinnova attraverso ogni sillaba benedetta che è entrata in noi. Poi la preghiera è offerta nostra al Padre, affinché faccia di noi, secondo quanto la Parola ci ha fatto vedere.
GCM 10.11.07