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Io beatitudine?

    Le beatitudini sono affermazioni consolanti di Gesù e della sua Chiesa, suo corpo imperituro.
Le beatitudini sono io in quanto Chiesa. Io beato perché povero, sofferente, mite, perseguitato per la giustizia. Ma credo davvero alla mia beatitudine? Ci credo tanto da trasmettere la beatitudine agli altri? Non è questa la missione della “perfetta letizia” di Francesco?

    Essere beato perché povero e mite, e perché credo in Gesù senza averlo visto, e trasmettere la beatitudine ai poveri e ai piangenti, che saranno consolati con le beatitudini che zampillano dal cuore di Gesù, pieno di Spirito, che innalza verso la vita eterna, verso il regno dei cieli. Il mio trasmettere la beatitudine agli altri, accresce la beatitudine nel mondo, e, quindi, anche dentro di me.

    Beatitudine, che non necessariamente è senso di immediata felicità. E’ sicuramente serenità, non necessariamente felicità. Infatti sono beati i piangenti.

    La beatitudine è la lettura che Gesù compie sulla povertà, sul pianto, sulla fame di giustizia e sulla purezza di cuore, non è una trasformazione del sentimento. E’ una prospettiva di fede, non un intervento sulla causa della povertà e della persecuzione.

    La fede, opera dello Spirito Santo cui affidiamo la nostra libertà, conduce alla certezza, e la certezza genera serenità, che non raramente sfocia nella felicità. E’ una felicità di fede, ossia è luce di contemplazione, è preghiera che si concede, e, nel concedersi, si trova avvolta nelle braccia del Padre.

    Dalle braccia del Padre, noi sprizziamo luce e consolazione sulla povertà e sulle lacrime.

    GCM 03.09.07