Parole semplici Leggendo il testo greco del Nuovo Testamento, e poi leggendo le molte sue traduzioni, ci si accorge che quanto più la traduzione è letterale, tanto più ci si avvicina al sapore e alla “ricchezza” del testo originale.
Parlo di ricchezza, ossia di abbondanza di significati.
I termini esatti, propri, specifici, tendono a indicare un solo concetto: è il destino della specializzazione, attuata in qualsiasi settore della ricerca umana.
I termini generali, o generici, sono capaci di essere applicati a una molteplicità di significati. Più sono primitivi e più sono ricchi.
Le traduzioni il lingua letteraria o in lingua parlata, non adattano la lingua al testo, ma il testo alla lingua, con il pericolo, non ipotetico, di depauperare, se non addirittura stravolgere, il senso originario delle parole e delle frasi.
Or dunque i Vangeli sono scritti con parole primitive, semplici, polisemiche. Esse sono rivolte ai semplici, che possono arricchire il testo con la propria creatività e fantasia.
Anche sotto questa prospettiva è necessario ritornare bambini, per essere riempiti dalle parole del Vangelo.
Il termine “fare” e quello “dire” sono frequenti. Però essi significano molti “fare” e molti “dire”, che si riconoscono dai contesti. Eppure il “fare” non è sempre “compiere” o “attuare”. E proprio la indecisione del termine consiglia a porci delle domande, che precisano e che compiono o che lasciano spazio ad altre domande.
Proprio le parole più semplici e più primitive aprono spazi impensati, oltre ai significati più ovvii.
GCM 09.03.06
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