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Teologi

Ieri ascoltavo una persona che si interessa di filologia applicata ai testi religiosi, e che si dichiarava perciò un teologo. Allora mi è sorta chiara una distinzione: c’è il teologo che parla di Dio (o di cose che sembrano attinenti a Dio) e c’è il teologo che parla con Dio.

La differenza è marcata. Infatti chi parla di Dio, si arrampica frequentemente sugli specchi per arrivare a Dio con le proprie forze. Egli è come lo scalatore della montagna che si prefigge di raggiungere la luna, che scorge in cima alla montagna. In realtà ciò su cui egli può discorrere è soltanto frutto della sua intelligenza, di quella intelligenza, che, per quanto fatichi e scavi, può scoprire soltanto l’umano, sebbene talvolta nei suoi profondi meandri. Tuttavia rimane nel perimetro delle limitate possibilità umane.

Diversa è la posizione di chi parla con Dio. Egli si pone sempre al confine della ragione umana, e lancia desideri, cuore e parola, oltre di esso, nell’infinito. E’ abbastanza simile a chi si lancia fuori della terra per tuffarsi nello spazio.

La preghiera si tuffa nell’infinito, in quell’infinito che non è tenebroso e illeggibile, ma che è Dio, il Padre. E’ sempre un lanciarsi, ma non nell’incognito. E’ un atto di coraggio nello spiccare il salto, ma con la ferma certezza di essere accolti. Quasi come ci si lancia verso il telone steso dai vigili del fuoco.

Il teologo che prega, è con Dio nel pregare, e poi è con Dio (assieme con Dio) nel parlare di Dio. Parlare assieme a Dio, immersi nella sua parola, letta, udita, contemplata, assimilata, e poi gioiosamente trasmessa.

Dal cuore a cuore nel parlare con Dio, al cuore a cuore nel comunicare con l’uomo.


GCM 19.09.05