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Autocondanna

30.03.12

Nella Lettera ai Romani, S. Paolo ci avverte di non giudicare gli altri. E questa è la parte esortativa. Però aggiunge subito: se giudichi gli altri condanni te stesso.

Perciò chi crede di giudicare gli altri, in realtà segna la propria condanna, perché peccatori sono sia chi giudica sia chi è giudicato.

L’avvertimento è pesante, l’ingiunzione è categorica. E’ un’eco di quanto il Vangelo dice della pagliuzza e della trave.

Giudicare è sempre una condanna. E non per la persona che è giudicata, ma proprio per chi si erige a giudice del fratello. Io posso sfuggire alla mia condanna, ricorrendo alla misericordia del mio Dio. Però quando io non sono misericordioso, la misericordia di Dio mi abbandona.

Certi errori nostri e degli altri non si possono non vedere. La condanna di quegli errori produce condanna. Anche la condanna dei miei errori, raddoppia la condanna. La misericordia, dice la Parola di Dio, vince sul giudizio.

Il giudizio e la condanna implicita nelle detrazioni e perfino nelle mormorazioni, sono un’autocondanna. Ci crediamo intelligenti nello svelare i difetti o i vizi degli altri, e finiamo con l’essere condannati.

Eppure gli errori, i difetti, i peccati degli altri, sottoposti al nostro perbenismo giudicante, non ci sollevano al di sopra degli erranti. Ci sottomettono invece alla condanna.

Allora chiudere gli occhi?

Anzi, aprirli per girarli verso la preghiera. Gli errori degli altri, che noi scopriamo, possono avere due esiti: la condanna nostra, o la preghiera per gli altri. La preghiera di fratelli con altri fratelli, nella presenza del Padre.

GCM 12.10.11