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Pane e felicità

Panem et circenses, davano alla plebe romana per tenerla quieta. Mangiare e divertirsi.

Certamente il mondo non è cambiato.

Nel Padre nostro, troviamo un’altra formula: pane e serenità d’animo, ossia un divertimento di altro genere. Una serenità, che sgorga dal perdono.

Non divertimento, ma felicità, serenità, beatitudine.

Comunque restano i due poli, che guidano le persone. Gesù, che moltiplicava il pane, era lo stesso che chiamava a sé la gente, perché trovasse pace “per le loro anime”.

Quando i furbi si prefiggono di attirare la gente, che non abbisogna più di pane, perché ne ha più che a sufficienza, attizzano divertimenti, anche sotto forma di televisione.

Certamente avendo scelto il diverimento a scapito della felicità, il tono della società si è abbassato. Tutti reclamano contro la TV spazzatura, ma tutti si cibano volentieri di questa spazzatura, lasciandosi prendere per il naso solennemente.

Gesù si pone chiaramente sull’altro versante della realtà. Procura il pane, e lo abbina alle beatitudini, e dopo che la gente lo ha ascoltato, procura anche il pane.

Del sapiente Socrate si legge che partecipava anche alle feste. La festa può unirsi alla beatitudine, il divertimento distrae dalla beatitudine, perché si svolge al di fuori dell’intimità umana.

La festa serve alla beatitudine. La domenica all’incontro con Dio. Da quando la domenica è stata invasa dal divertimento, spossa la gente, perché la domenica, anziché essere pranzo e preghiera, è diventata ubriacatura e svago per molti.

GCM 02.02.11, pubblicato 22.06.11