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Figli e schiavi

Ci sono dei segni, che manifestano un atteggiamento interiore, e dei riti, che indicano le basi di una religione.

Tutte le nostre televisioni, quando riproducono gli islamici in preghiera, li mostrano inginocchiati e talmente prostrati, che di loro si scorgono solamente le schiene.

Nel rituale cattolico, si indicano due posizioni fondamentali: l’eretta e la seduta. L’inginocchiarsi, che è molto comune, e il conseguente appoggiarsi al banco per sostenersi, è indicato in occasioni particolari, mentre esiste l’inchinarsi (sempre restando in piedi) in alcuni momenti. La genuflessione, pur comandata, è sempre un rito molto breve. La posizione eretta, in piedi, è la più continua, indicata anche durante il canone, la grande preghiera.

Le due posizioni, l’islamica prostrata, la cattolica eretta, ricordano i riti familiari antichissima, durante i quali i figli pregavano eretti e a voce alta (“gridare” dice Paolo), e gli schiavi stavano prostrati pregando sottovoce.

La preghiera del libero, il figlio, è sciolta, la preghiera dello schiavo è prona e legata. Inizialmente, nel cristianesimo primitivo, la preghiera filiale era tanto libera che esistevano perfino quelli che “parlavano le lingue”.

Quando lo schiavo diventerà libero? Quando accetterà l’unico liberatore dal timore, dalla paura, dalle tradizioni opprimenti?

Allo “schiavo di Cristo” Paolo ha comunicato Gesù, e in Gesù “non c’è più né libero né schiavo” perché tutti, diventando figli, sono forniti di una nuova libertà, quella fiammante dei figli di Dio.

Sotto questo riguardo, sono ben poco istruiti nel “Regno di Dio” coloro che, come Garaudi, cercano la libertà, transitando dal cristianesimo all’Islam.

GCM 22.09.09