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Il latente rigidismo

Qualche decina di anni or sono, un prete mi regalò un libro scritto da lui: “E il prete si fece uomo”. Era una scoperta che anche il prete era un uomo, anzi che prima di tutto era uomo, e poi prete. Per essere prete doveva scegliere la “professione” con libera scelta umana.

Da quando è stato istituito l’ordine (ordo presbiterorum) dei preti, a poco a poco egli si è posto in una categoria superiore, e, utilizzando i privilegi del “sacro”, è anche reputato dal popolo un uomo-più, uno sciamano cristiano.

Il prete è un uomo di fede cristiana, che ha accettato un compito, tra gli altri, a beneficio dei fratelli cristiani.

Purtroppo anche qualche prete, anziché stimarsi un semplice uomo, che deve essere probo nella vita e nella professione (come ogni persona), si sente investito in una specie di doloroso privilegio, da conservare ed esercitare, senza cedimenti.

Avviene allora, che per lui è difficile superare una certa rigidità di ruolo. Egli non può abbassarsi a cose umili, come, per esempio, alla psicoterapia.

Ho davanti alla memoria quel prete, che, psicologicamente disturbato, ha sempre rifiutato di farsi aiutare. Era ricercato per consigli, lezioni, conferenze. Aveva idee chiare, una solida cultura. E queste doti lo confermavano nel suo stimarsi fuori dal rango di chi cercava uno psicoterapeuta. Ciò anche dopo che fu salvato da un tentativo di suicidio.

Purtroppo chiuse la sua carriera con un suicidio. Non ebbe la felice idea di farsi aiutare.

Anche il prete vive in una società, che offre molti aiuti: dal calzolaio al chirurgo. Perché i preti non escono dal rigidismo, che li conduce a fidarsi soltanto del confessore? Aprirsi agli uomini è anche un aprirsi a Dio. Questo è stato attuato anche da Gesù.       GCM 16.07.07