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Fomite di tristezza

Creare la tristezza: sembra la norma portante dei ritualismi e anche dei riti. Creare tristezza, perfino quando si incontra la fonte della gioia, il principio di ogni pace: Gesù.

Sto ripensando ai riti precedenti la ricezione di Gesù Eucarestia. Perfino nei pressi della presa, che Gesù fa di noi, entrando in noi,ci viene imposta quella lugubre formula “Non sono degno!”. E’ umiltà, è senso del limite, ma non è la felicità di Gesù, accolta in noi.

Nella parabola di Luca, dove si narra del ritorno di un figlio deviante, si nota un atteggiamento festoso del padre, mentre il figlio cerca di scusarsi. Così nel ricevere l’Eucarestia, non siamo invitati a considerare la gioia dello sposo che viene, ma a vedere in lui soltanto colui che alza il peccato.

Chi è ricevuto da Gesù (perché prima di tutto è lui che viene a noi, e se noi lo riceviamo è perché lo Spirito Santo ci fa andare incontro a lui) deve essere serio, compunto, tenere le mani in un certo modo, oppure mostrare la lingua al sacerdote, come se ci offrisse di dare una leccata a un cono di gelato.

Dove sta la gioia dell’incontro?

Placare la gioia: è questo lo scopo serioso di alcuni atteggiamenti indicati per chi si accosta all’Eucarestia?

Dove va a finire quel “Venite da me” se rendiamo buia la strada che vi ci conduce?

Gesù nella sinagoga per “beneficare” un malato e per ridargli la vita e la serenità, supera le leggi del sabato, si scrolla di dosso la disciplina. Oggi non ha lo stesso dolce potere, nel farci superare ritualità lugubri?

GCM 29.10.10, pubblicato 30.12.10