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Pregare con il corpo

Gesù, alzati gli occhi al cielo, pregò.

Nei Vangeli si nota talvolta l’atteggiamento corporeo di Gesù, durante la preghiera.

Sappiamo che Dio è dovunque e in nessun luogo, perché è oltre le misure del tempo e dello spazio. Egli, su insegnamento di Gesù, deve essere adorato in spirito e verità. Eppure Gesù stesso alza gli occhi verso il cielo, e insegna a pregare il “Padre nostro che sei nei cieli”.

Alzare gli occhi al cielo è un piccolo apporto corporeo all’innalzarsi della nostra preghiera. L’altro apporto è il pregare in piedi. Altro ancora è alzare le braccia.

Questa partecipazione corporea, bene intesa, crea in noi una modalità di preghiera, che certamente timbra il nostro pregare. Da questa modalità viene influito il nostro ripetere la preghiera, tramite le “giaculatorie” disseminate nella nostra giornata, quando camminiamo, lavoriamo e ci distendiamo.

Utilizzando anche la componente corporea della preghiera, ci inoltriamo nel significato di quel “Adorerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze”.

Può una preghiera, che si esprime anche corporalmente, danneggiare il raccoglimento, l’attenzione interiore a ciò che compitiamo con la mente o con le labbra?

La nostra esperienza ci insegna che quando una cosa ci interessa, non solo l’attenzione, ma anche gli occhi e tutto il corpo sono “tesi”. E, reciprocamente, quando il corpo si atteggia per ricevere un impulso esterno che ci interessa, anche la mente è più attenta.

Ci hanno educato alle mani giunte e agli occhi abbassati. Eppure la Bibbia ci parla di mani e occhi alzati verso  “il cielo”.

GCM 16.12.08