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Pentirci di che?

All’inizio del raduno eucaristico, per udire la proclamazione della Parola di Dio, ed essere inondati dalla presenza di Gesù, siamo invitati a pentirci, riconoscendoli, dei nostri peccati.

Rito o realtà?

Dipende da ciò che intendiamo per peccato. Se peccato è un comportamento contro i dieci comandamenti, allora si tratta troppo spessi di un rito. Non abbiamo ucciso, non rubato, non mandato i genitori in malora, non mentito, ecc.  Un solo peccato può essere accusato, in base al decalogo: “Non avrai altro dio, fuori di me”.

Se per peccato si intende la contraddizione a Gesù, allora il nostro chiedere perdono non è una finzione ritualistica.

Gesù ha detto esplicitamente:”Questa è la vita eterna, ossia che vi fidiate di Dio e di colui che ha mandato”. Gesù, ha posto come base la fede, la fiducia, l’affidamento in lui e nel Padre. Venir meno a questa fiducia è venir meno alla vita eterna, ossia scivolare verso la morte eterna. La morte eterna è il peccato.

Ogni volta che manchiamo di fiducia, o di fede, in Gesù, trascuriamo la vita eterna.  Purtroppo nelle nostre giornate spesso ci dimentichiamo di fidarci di Gesù, perché ci fidiamo delle nostre idee, delle idee di altri, dei nostri interessi più che fidarci in Gesù e nel Padre.

Le nostre giornate, se osserviamo attentamente noi stessi, sono costellate di piccole o grandi sfiducie in Gesù o nel Padre.

Questo è materiale per i nostri quotidiani pentimenti. Questa è convinzione dolorosa e pentita, per chiedere perdono a Dio, senza cadere nell’infingimento di una formula ritualistica.

GCM 15.05.09