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Misericordia e dolcezza

Il sacramento della riconciliazione è il sacramento della misericordia: il Padre che abbraccia il figlio, troncando addirittura la sua confessione. Il Padre si accorge della persona, la accoglie, vede la persona che ritorna, e non ricorda le azioni turpi di essa. La differenza tra il Padre e il figlio maggiore è proprio questa: Il Padre vede il figlio ritornato, il figlio maggiore ricorda le malefatte del fratello.

Il sacramento della misericordia è un sacramento del cuore, l’applicazione ecclesiastica di questo sacramento rischia di diventare la tortura della contabilità (quante volte?) e dell’inquisizione (descrizione e specie di peccato).

Questa tortura non è richiesta da Dio, che vede il cuore, ma dalle esigenze di una misericordia riversata dentro un’azione giudiziaria, a beneficio, non del pentito, ma del “ministro” che deve giudicare l’entità del disastro.

Poi ci si meraviglia se lo scrupoloso Lutero, per non scoppiare, nega la confessione quale sacramento.

Perché non accontentarsi del semplice gesto dell’inginocchiarsi del pentito e dirgli subito: “Il Padre ti vede, ti ama, ti perdona”?

Perché non indicare ai responsabili della disciplina sacramentale, di rendere più umano il sacramento della riconciliazione, senza infierire su una persona già ferita e umiliata?

Forse è necessario, oggi che si cerca di ridestare il senso del peccato, anche ridestare il senso della misericordia. Il sacramento come ricongiungimento gioioso alla comunità, come festa della pecora smarrita, che non ha neppure tentato di incamminarsi sulla via dell’ovile.

GCM 03.09.08