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Fiducia nelle chiese

Paolo, l’itinerante spargitore della novità Gesù, non incentrava le chiese nella sua persona. Egli viaggiava, parlava di Gesù Risorto e Salvatore; attorno al suo annuncio si raccoglieva qualche decina di credenti. Lui li affidava, per l’organizzazione, a uno del luogo (anziano) oppure a un suo discepolo. Poi passava oltre.

Sapeva che le singole chiese erano sorrette dallo Spirito di Gesù Risorto, e non dalla centralità della propria persona. Non conosceva un centralismo imperante, pur rispettando la testimonianza di coloro che avevano conversato con Gesù, e la funzione di Pietro. Tuttavia anche a Pietro ricordava di essere fedele a Gesù e non agli Ebrei.

Ogni singola comunità, chiesa di qualche decina di persone, viveva una diversità di comportamento, nella solerte unità dell’unica fede.

Inoltre Paolo sentiva forte l’appartenenza alla comunità, nella quale era entrato per vivere la fede in Gesù. Da quella comunità era stato incaricato della missione da svolgere. E a quella comunità riferiva i risultati del suo operare.

Universalità e appartenenza al particolare. Le sue lettere servivano a confermare e a chiarire il senso dell’annuncio, a vigilare sull’andamento delle chiese, ma non a comandare su di esse. “Io ho seminato, Apollo ha innaffiato, Dio ha fatto crescere”.

Paolo si pone in équipe, della quale fa parte Dio. Di questi ??? sono  la parte e l’efficacia più importanti.

Paolo si fidava delle chiese, sebbene giovani, pur corredandole di personale adatto e fidato.
Cioè si fidava dello Spirito del Signore.

GCM 12.05.09