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Fare o vivere?

Una disgrazia può capitare a chi è stato educato fin da piccolo, a dover fare, senza indicare come quel “fare” si radicasse nel vivere.

Come si fa? E non: come si vive? sapendo che il  fare è una conseguenza del vivere.

Di questa basilare disgrazia soffre in maniera particolare il nostro incontro nella liturgia domenicale.

Quando, ad esempio, si dice “Il Signore è con voi” “E con il tuo spirito” ( a parte quel “tuo spirito” che sembra volatilizzato, tanto che il prete deve rintracciare il proprio spirito per ritrovarvi il Signore), nessuno di noi entra nel tripudio. Si dice e si ripete, e nulla più.

Se appena appena ci si svegliasse un po’, si cascherebbe in gioia. Proprio Dio è in noi! Dio penetra il cuore e vi si stabilisce. Le formule, se vissute, dovrebbero essere annunciate con gioia, con entusiasmo. E invece scivolano via, cascano senza lasciar traccia. La realtà ricordata è la nostra vita, eppure noi la lasciamo scorrere senza fermarci un istante, un solo istante, due secondi, nel giro di quaranta, sessanta, ottanta anni!

Quando recitiamo le parole del segno di croce, ci accorgiamo di essere tuffati nel pieno della Trinità? Il nome è l’essenza. Nuotiamo nella Trinità, il Padre il Figlio e lo Spirito stanno in noi, la formula ce lo ricorda per causare gioia, e noi non ci accorgiamo dell’immensità della nostra posizione in Dio.

Troppe formule appesantiscono i nostri incontri nello Spirito. Eppure Gesù ci aveva posto in guardia contro le molte parole, quando si prega. Ci aveva regalato un sunto di vera preghiera nel “Padre nostro”. Ma anche quello lo diciamo in tutta fretta: una semplice formula, che si dice...

GCM 03.05.09