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Verso il futuro?

   Forse per la scarsità di argomenti da trattare (esclusi quelli seri, che si possono trattare sempre e non si trattano quasi mai), abbiamo subito una tempestina mediatica sul documento pontificio che regolava la celebrazione della messa in latino.

   Mi pare che, salvo il motivo politico del  ricupero lefebvriano, la cosa sia semplice: non c’è stata nessuna novità. E’ stata un semplice spostamento della cortina alla finestra, che dà nel cortile interno. Un fermare l’occhio sul passato. Sembra molto strano che non si vada oltre la riforma di Pio V: una delle molte riforme del latino fino ad arrivare a Giovanni XXIII.

   Però anche Pio V ha cambiato il passato, che aveva avuto infiniti mutamenti, perfino quello epocale del passaggio dal greco al latino sia per la Scrittura, sia per la liturgia. Niente di nuovo sotto il sole: le esigenze nuove, cambiano i parametri vecchi.
Si è trattato di un’apertura verso il passato. Però c’è altrettanta apertura verso il futuro?

   Il Concilio Vaticano II aveva aperto finestre per un’aria nuova, quando, in liturgia, si era allargata una fioritura di sperimentazioni nuove. C’era stato anche chi aveva pubblicato il libro “Liturgia semper reformanda”, echeggiando la frase fondamentale: Ecclesia semper reformanda.

  A poco a poco sono state abolite le sperimentazioni. Quella che poteva essere un’indicazione di alveo, dentro il quale dovevano essere incoraggiate le novità, è diventato un bavaglio di uniformità... e l’apertura verso il futuro, esiliato dalla liturgia, ha trovato accoglienza nella pietà, negli spettacoli, nei festival e... nelle chitarre.

  Che il decreto pontificio possa diventare una vera apertura alla pluralità?

   GCM 17.09.07