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Pentimento

    Mi pento, perché ho meritato i tuoi castighi: ci hanno insegnato. E questo modo di pentirsi era definito attrizione, per differenziarlo dalla contrizione, che era un pentirsi per aver offeso la Maestà infinita.

    E’ ben vero, che il pentimento possa essere incardinato, come superamento del dissapore nostro con Dio. Infatti ogni devianza dall’ordine della creazione, riguardo alle cose o alle persone, attiene ad una discrepanza con il Creatore. Davide, adultero, uxoricida, dichiara: “Contro te, Dio, contro te solo ho peccato!”.

    E’ proprio vero che il pentimento del cristiano è in vista dei castighi? Si tratta di punizione (pena vendicativa) o  riparazione (pena redentiva)?

    Il pentimento, secondo la luce del Vangelo, va oltre la punizione o la riparazione. Esso si arricchisce di un “non peccare più”, che è più di una riparazione, perché entra in una valenza ricostruttiva nuova. Però il pentimento cristiano va oltre il senso di punizione, di riparazione e di ricostruzione. Esso va inserito nell’amore.

    Il vero pentimento è riaprirsi all’amore, superando i nostri disagi.
E’ chiaro nella parabola del figliol prodigo (così tradizionalmente indicata). Il figlio pentito è affogato nell’amore del Padre, che fa festa. Il suo pentirsi si trasforma in tuffarsi nell’amore travolgente del Padre.

    E’ chiaro nell’episodio della donna che piange sui piedi di Gesù. Le è stato perdonato molto, perché ha amato molto. E ama molto perché le è stato condonato molto. Magari il sacramento della riconciliazione diventasse una festa nella piccola chiesa, che si restringe ad un confessionale.

    E’ chiaro nell’incontro di Gesù con Pietro, dopo la risurrezione. A Pietro, conscio di aver offeso Gesù, con i rinnegamenti ripetuti, Gesù rivolge una sola domanda: “Mi ami? Mi vuoi bene?”.

    Il pentimento cristiano, per essere autentico, è festa d’amore, dalla quale nascono propositi e voglia di vivere.

    GCM 10.07.07