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Preghiera felice

Se lo Spirito Santo continua a pregare in noi, tutta la nostra vita è preghiera.

Ci hanno educato a essere smarriti, nel pregare, se non ricorriamo a qualche formula pia. Preghiera è semplicemente “esserci”. I momenti di preghiera sono sempre occasioni nelle quali emerge più cosciente il nostro essere preghiera, essere a contatto con Dio, perché lui è a contatto con noi.

La felicità della preghiera non sgorga dal nostro aver “operato” con formule, ma dal “suo” salvarci nella preghiera.

Quante volte mi chiedo: perché la preghiera non sempre mi rende felice?

Forse perché io cerco di “entrare” nella preghiera, come se questa fosse una regione staccata da me. Perfino nella liturgia diciamo che il Signore ci accoglie alla sua presenza. Come se tempi e luoghi di preghiera fossero limitati, e non valesse l’affermazione di Gesù, che dice che il Padre si adora in spirito e verità.

La felicità della preghiera non nasce dal mio cercarla, ma dal “suo” concedermela nel modo che lui vede opportuno.

La felicità sgorga nel momento in cui Dio mi prende e mi fa intuire la sua presenza.

Essa può anche essere l’attimo fuggente, regalato da Dio. Quell’attimo, che subisce la tentazione di pretendere che sia continuativo, quasi una golosità ossessiva. Dio invece viene e va, perché è Spirito, che come il vento tu non sai da dove venga e dove si diriga.

La prima, iniziale, più semplice e più sincera felicità della preghiera nasce con l’abbandono al Padre nel principio del pregare. Ci si abbandona a Lui, e poi si lascia scorrere la preghiera nel cuore, così come viene.

GCM 09.06.06