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Preghiera e comando

La Chiesa, attraverso il compito della gerarchia, comanda la preghiera.

Contro questo comando si erge il consueto “Io prego, quando mi sento di pregare”. E il sentire di pregare diventa sempre meno urgente, fino ad estinguersi. In questa società del benessere, dominata dal “mi sento” (sul quale si basa tutta la pubblicità, menando le persone verso esiti prestabiliti), la preghiera, poco pubblicizzata per natura sua, sta scomparendo nei più, perfino in quei pochi che entrano in chiesa per un matrimonio (esibendo vestiti di festa) o per un funerale (vestendo rigorosamente a lutto, anche nei cappelli delle signore).

Ad aiutare noi, poveri dimenticoni, ricordiamo che esiste anche la preghiera. Ecco i “comandi” della Chiesa circa la preghiera. In quanto comandi sono antipatici e facilmente rifiutati. Se il Codice di Diritto Canonico cominciasse con una premessa d’amore, e tutti i suoi comandi - comprese le pene vendicative - fossero presentati come esigenze d’amore per suscitare l’amore, allora i “comandi” avrebbero un altro senso, e una grande valenza.

Tocca a noi, credenti, mettere amore dove non c’è amore, per ricavare amore.

Interpretiamo, con l’aiuto dello Spirito Santo, Il “comando” di pregare come offerta per l’amore. Amore anche quando noi non “ci sentiamo” di pregare, ma umilmente ci aggreghiamo alla preghiera di tutti i credenti. Tuffati in essa, anche la nostra debolezza e tepidezza nel pregare, trova il suo valore.

Allora il “comando” si trasforma in provvidenziale occasione di umiltà e in offerta di quelle parole che noi non sappiamo trovare e pronunciare.

GCM 26.08.05