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Olocausto

      In questi giorni si ricorda la shoah, l'olocausto.
      Non poche commemorazioni si sono a lungo soffermate a illustrare il crimine contro l'umanità, le sofferenze dei deportati nei lager, l'odio razzista del nazismo contro gli Ebrei. Siccome la laicità è di rigore, è stato trascurato troppo facilmente un elemento: il significato religioso. Eppure il termine "olocausto" lo evoca.

      Quando, a guerra terminata, incontrai due miei confratelli polacchi, reduci dai lager e ancora psichicamente provati, essi mi raccontarono le proprie sofferenze e la morte dell'altro mio confratello, Massimiliano Kolbe, ucciso ad Auschwitz (Ošwiecim, per i Polacchi). Fui il primo in Italia a descrivere questa morte.

      Quei due confratelli mi riferirono che i polacchi più torturati nei lager, erano gli Ebrei, gli intellettuali, i sacerdoti. Si preferisce ricordare giustamente gli Ebrei; però essi erano, evidentemente, i più tartassati solo in quanto più numerosi rispetto agli intellettuali e ai sacerdoti; ma questi subivano le stesse torture di quelli.

      L'Olocausto quindi include tutti.
      Mi pare indicativo ricordare che molti Ebrei, costretti a recarsi nella camere a gas, lungo il tragitto cantavano un Salmo di fiducia e di confidenza in Dio, perché essi interpretavano la propria morte, sotto l'aspetto religioso: la persecuzione.

      Mi sembra che, rammentando solamente il lato razzista della shoah e trascurando quello religioso, sia come mettersi, inconsapevolmente, dalla parte degli aguzzini, che perpetravano il delitto, mirando principalmente a eliminare una razza.

      Forse le stesse vittime (Ebrei, sacerdoti, intellettuali), oggi, richiederebbero una interpretazione più ampia dello loro avventura.

GCM 27.01.02