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Aridità

"Ormai io prego sempre, perché non so più pregare", mi diceva un amico.
     Implicitamente quest'amico ripeteva con i discepoli di Gesù: "Signore, insegnaci a pregare!".
     Gesù conduce i suoi alla preghiera: "Quando pregate, dite". Non grandi sentimenti iniziali, ma semplicità di parola. Cominciare con il "dire".

La fedeltà al dire, proprio quando svaniscono pensieri, intuizioni, sentimenti. L'aridità può pervadere il cuore e la mente, la stanchezza può appesantire le palpebre, il frastornamento può annebbiare, eppure resta sempre la possibilità di dire.
     Il dolore di non riuscire più a pregare, lo struggimento per non essere più capace di radunare i pensieri, non sono l'ultima spiaggia della preghiera, se noi riusciamo anche soltanto a dire "Padre".
     Padre, Padre … ripetuto all'infinito, non come un mantra, ma come un'invocazione interminabile, commossa, appassionata.

Padre, sto per affogare, salvami.
     Si prega dicendo sempre, quando non si riesce più a pregare.
     Il cielo, comunque, è sempre cielo, anche quando sovrasta il deserto.
     "Padre" e deserto. E a poco a poco sul deserto piovono quaglie e manna. Quando, come?

Il dolore per non saper pregare diventa tutto una preghiera. Il dolore è sempre fecondo, perché esso è il desiderio sofferto e inespresso. Un dolore che non si stanca, perché l'aridità continua (anche per anni, come successe a Madre Teresa di Calcutta), e con il dolore non si stanca la preghiera.
     Padre, Padre … fino al punto di dire: "Padre, perché mi hai abbandonato?". Dirlo, dirlo davvero. Dirlo, non provando sentimenti, ma credendo. Non con la convinzione, che nasce dal ragionare e dal sentire, ma con quella che silenziosamente sgorga dalla fede.

GCM 17.09.03