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Solitari

Due categorie di persone sono destinate a una gioiosa solitudine: gli artisti e i santi. Sono le due categorie che salvano l'Occidente dal suo affannarsi rumoroso e caotico.

L'artista è solo. Per uscire dalla propria solitudine è necessario che incontri un altro artista, una persona che condivida i suoi palpiti e i suoi spasimi.
L'artista è solo, perché le sue intuizioni quasi mai sono comprese, e se cerca collaboratori, è fatale che trovi manovali. Lo scultore incontra scalpellini, il musicista mestieranti di musica, l'autore semplici istrioni.
L'artista già di per sé è insoddisfatto della propria opera; ma, se la mette in mano d'altri per l'esecuzione, allora gli vien voglia di stracciarla. La solitudine dell'artista non è orgoglio, ma necessità interiore e anche delusione.
Nella società, l'artista rappresenta l'oasi di verde, incompresa e sfruttata: carmina non dant panem, dicevano i nostri trisavoli (l'arte non fa vivere).

E la solitudine del santo?
Anche il santo è l'oasi, che Dio continua a purificare dal peccato. Il santo parla e pensa come chi ha scelto Dio, oltre a essere stato scelto da Dio. Soltanto un altro santo lo capisce. Tra santi ci si intende. Ma dove trovare un altro santo? Nelle chiese, nei conventi, nelle associazioni pie, nelle famiglie per bene? Nessun luogo garantisce la santità. La quantità dei santi, ufficiali o nascosti, nella società del benessere, non è troppo numerosa.
Però il santo vanta uno smisurato vantaggio sul poeta. Infatti la sua oasi è abitata da Dio.

Se il santo e l'artista sono la stessa persona, come fu di Francesco d'Assisi, allora la solitudine è più accentuata, e la presenza gioiosa di Dio è più palpabile.

GCM 09.07.02