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Morte, perfezione

Ogni giorno una conversione, che ci avvicina maggiormente al nostro Dio.
Anche la conversione della lira in euro fa parte della nostra conversione.
Essa ci apre al futuro, e il futuro ci lancia, passo dopo passo, verso l'escatologia e verso la grande manifestazione, la parusia. Ci esercita al nuovo, mantenendoci freschi nello spirito, ci invita a scoprire una nuova modulazione di quel vivere insieme che è sempre un influsso della Trinità.

Però si dà anche una conversione più bella e più profonda: quella che deriva dalla scoperta della Parola di Dio.
Nella prima lettura del breviario di oggi (breviario, ossia un modo di intrattenerci con Dio), riscopriamo il temine "perfetto". Un motivo in più per scrostare da questa parola il patinume di un certo estetismo romantico, che pretende di rendere l'uomo perfetto, attraverso i suoi sforzi virtuosi.

Infatti leggiamo (e ci convertiamo alla verità): "fu reso perfetto con la sua morte".
Se la perfezione, voluta dal romanticismo e dal classicismo, fosse vera e (ahimè, come vogliono molti asceti) cristiana, la morte non produrrebbe "perfezione", ma dissoluzione inestetica e paurosa (chi non rammenta lo starez Zosima?).
Il testo afferma che la morte di Gesù l'ha reso "completo" in quanto uomo. Ossia se Gesù non fosse morto, egli avrebbe corso il rischio di restare un uomo apparente. La morte sua fu un'attestazione inconfutabile che lui era veramente uomo, fino in fondo, "completamente" uomo in ogni dimensione.

La Parola di Dio ci converte, perché ci fa passare dalla sensazione romantica e immaginativa della perfezione, propria dell'eroe greco (mai esistito!), alla verità di un uomo "completo nel suo genere", perciò mortale.

Proprio l'accettazione della morte rese Gesù integralmente incarnato, quindi completamente capace di salvare "umanamente" l'uomo.
La morte di per sé non salva, ma la morte di Gesù rende completo, e perciò efficace, il Salvatore.

GCM, 01.01.02