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Esperienza

Si può applicare il metodo sperimentale alle ricerche di fede?

L'esempio più noto è quello dell'Apostolo Tommaso: "Se non tocco Gesù risorto, e se non infilo il dito nelle sue piaghe, non credo!".

E dovette credere, dopo aver constatato sperimentalmente la realtà corporea di Gesù risorto.


Gesù adottò il metodo sperimentale. I primi due curiosi discepoli di Giovanni il Battezzatore, chiesero a Gesù: "Dove abiti?". Lui rispose: "Venite e vedete".

Quando Gesù, a Cana, cambiò l'acqua in vino ( non come oste truffaldino, ma come inviato dal Padre), l'evangelista notò che i discepoli, costatata la mutazione, ebbero fede in lui.


"Andiamo fino a Betlemme a vedere" dissero i pastori a Natale. Videro davvero ciò che gli era stato annunciato.

Oggi molti cultori delle "scienze positive" e del "metodo sperimentale" si rifiutano di credere, perché alle cose della fede non è applicabile, secondo loro, il metodo sperimentale. Aprioristicamente, forse preconcettualmente, trascurano le cose della fede. Proprio questo preconcetto indica che essi non sono autentici "sperimentatori", cioè sono in contraddizione con se stessi, perciò cattivi scienziati. Perché?


Perché anche la fede oggi, e sempre, può essere "sperimentata". Prima di negare le "cose della fede", loro hanno mai sperimentato l'autentica preghiera? Quella profonda che prende tutta la persona? Hanno mai incontrato davvero la Parola di Dio? Si sono mai immessi in un gruppo che crede?

Se non hanno sperimentato questo, che noi invece sperimentiamo, come possono affermare che la fede non è sperimentabile? Che razza di scienziati sono?


GCM 08.01.01