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Vita precaria

La precarietà della vita per molti è una disdetta, una disgrazia programmata dagli dei o da Dio, per torturare e per divertirsi alle nostre spalle.

Per chi crede la precarietà della vita è un dono.
Dono, prima di tutto perché è vita.
Dono, proprio perché è precarietà. Ossia spinta a ricorrere verso ciò che è stabile, e al quale le nostre viscere, il nostro cuore e la nostra intelligenza ci stanno spingendo assetatamente.

La vita è un dono "elastico". Dilatata sembra includere ogni possibilità.

Rilasciata, grazie alla morte, si riporta allo stato originale: Iddio.
La svista marchiana: credere che la vita iniziale e quella finale, dopo lo stiramento di alcuni anni, siano collocate dentro il tempo. La tendenza di molte persone è quella di pretendere di rendere eterno il tempo. Contraddizione.

Nessuno vi è mai riuscito. E fino a quando qualcuno non scoprirà la simmetria tra tempo ed eternità, sarà ben scorbutico lo sforzo della quadratura del cerchio, cioè del rendere eterno il tempo.

Sotto questo riguardo, Gesù ci ha richiamato alla ragione e all'intelligenza: concepire il tempo precario e l'eterno perenne. L'uovo di Colombo.

Gesù ci ha richiamato a uscire dalla pazzia, a mettere i piedi per terra, a chiamare pane il pane, e vita reale (poiché perenne e definitiva) la vita eterna. Lo vogliamo o no.
La precarietà di una vita che si prolunga nel tempo, è l'ombra della vita eterna proiettata sulla terra.

Nella vita del tempo possiamo perciò trovare alcune tracce della vita eterna. Ma guai a scambiare l'ombra con l'oggetto, il pane con il "pane vivo", il precario con la sua fonte perenne!

La precarietà è un dono immenso, se goduta come precaria, autenticamente.

GCM, 16.04.02