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Oltre

Si sa che lo scrittore antico, conosciuto con il soprannome di Qoèlet, vedeva la cose con disincanto e con pessimismo. Tutto è inutile, diceva, tutto è inconsistente, perché alla morte l'uomo e le sue conquiste cadranno nel nulla di un buco nero.

Aveva le sue buone ragioni per pronunciarsi così. Infatti dall'infinita rassegna che il Qoèlet compie su tutte le realtà, non risulta neppure una che resista al cadere del tempo e della vita.

Con il Qoèlet concordano gli autori classici mediterranei, anche se qualcuno affermava che un qualche residuo di lui sarebbe pur rimasto: "Non omnis moriar!" ( non morirò proprio tutto).
La sopravvivenza dopo la morte è affermata da molte religioni, partendo dalla religione etrusca fino a quella egiziana, dai popoli etnologici a quelli preistorici.

L'induismo perfino ipotizza, e con vigore, che la permanenza degli uomini si avrà, ma soltanto rifluendo nella grande unità del Brahma, con una certa perdita dell'individualità.
L'aldilà però resta l'Ade. Un'esistenza, dimezzata, fredda e oscura.

In perfetta controtendenza Gesù: "Io non berrò più di questo vino, fino a che non lo berrò nuovo nel mio regno!".
È una frase piena di speranza. Nulla è perduto, non si cade nel buco nero, non si perde l'individualità, non si è condannati a un'esistenza umbratile.
C'è di nuovo il vino. Un vino nuovo, ma vino.

In altri termini il di qua continua, anzi si rinnova. I valori rimangono e si solidificano. Gli affetti non si cancellano, ma si eternano.
E tutto, grazie alla Risurrezione di Gesù.

GCM 05.08.01