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Declassato

Il Padre nostro lo ripetiamo ogni giorno, ma declassato.
Era nato come impostazione del modo di pregare. Infatti il Vangelo di Luca ci racconta di un discepolo che chiede: "Insegnaci a pregare". A pregare! Non a ripetere una formula. Tant'è vero, che già tra l'evangelista Matteo e l'evangelista Luca notiamo una differenza di formulazione del "Padre nostro" e un'unità di impostazione.
Purtroppo è stato ingessato in una formula: la lettera ha prevalso sullo spirito. Talmente irrigidito, che perfino il chiaro semitismo delle prime due parole si è infiltrato un po' anche nelle versioni correnti.
Gesù, da esperto in preghiera, stava indicando un indirizzo di preghiera, una struttura sana del modo di rivolgerci al Padre, e si trova prigioniero di una formuletta. Declassato.

Il Padre nostro ci insegna a:

  1. interessarci di Dio, prima che di noi. Quando una persona mi incontra, prima di tutto mi chiede: "Come stai?" o "Tutto bene?". Un po' di bon ton per nostro Padre non guasta.
  2. notare il legame Padre-figli: Dio è grande e bello, allarga la sua bellezza fino al punto che invade la terra, come ne è pieno il cielo.
  3. sentire che la presenza del Padre in terra lo porta a prendere cura della nostra vita (pane), del nostro equilibrio personale (perdona e difende dal male) e sociale (perdono agli altri).

Queste indicazioni sono il quadro generale, dentro il quale noi giochiamo il nostro rapporto affettuoso ed esistenziale con il Padre.
Dal Padre nostro apprendiamo il nuovo carattere delle preghiera umana: libera, rivolta alla contemplazione del Padre, prima ancora che attenta ai nostri bisogni.

GCM, 03.02.03