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Fede e opere

"Che cosa faremo?": è la domanda della gente a Giovanni Battista. Alla richiesta di come era opportuno comportarsi, il Battista risponde indicando alcuni comportamenti morali: condivisione, non violenza, giustizia.
     Per il cristiano si affaccia una domanda più impegnativa: "Che cosa credere? Come credere?".
     La tradizione ecclesiastica ha sempre sostenuto che il compito della chiesa è quello di pronunciarsi autorevolmente sulla fede e sui costumi, ossia sul credere e sull'agire.

Anche oggi, quando si discutono problemi etici, si guarda al Vaticano, per sapere che cosa ne pensa, anche solamente per rifiutare il pensiero del Papa.
     Molti documenti vaticani indicano linee direttive per l'etica individuale e sociale.
     Quasi tutti, dentro e fuori la chiesa, si dimenticano che il primo compito del cristiano è quello di "predicare il Vangelo", ossia di aiutare la fede, il credere. Infatti solo il Vangelo (Dio che salva in Gesù) è il proprium della Chiesa. Tant'è vero che le "regole morali" il cristianesimo o le ha desunte o le ha comuni con altre culture. Desunte, per esempio, dagli Ebrei con il Decalogo, o dagli stoici con l'etica, o da Platone o da Aristotele. Non c'è nessuna norma etica delle Chiesa, che non trovi il parallelo in qualche altra cultura.

Invece, di proprio la Chiesa ha Gesù, cioè il suo Vangelo. Da Gesù nascono le beatitudini e le "opere della fede". Gesù è l'unica situazione inedita, non copiata da altri, non clonabile. La fede, non i costumi, è il proprio della Chiesa. La fede e ogni conseguenza della fede in Gesù.
     Perciò la prima preoccupazione del cristiano (e la prima risposta che egli dà a chi chiede ragione della sua speranza, come scrive s. Pietro) è quella di cercare il "come credere", a preferenza del "come operare, o come comportarsi".

GCM 14.10.03