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Scrivere Gesù

Molti di noi parlano di Gesù, o scrivono su Gesù. Gesù quindi è oggetto del parlare o dello scrivere. Gesù è collocato là, fuori, come un poster che si guarda, anche per ammirarlo, ma là, fuori di me.
     Diverso è il parlare o lo scrivere Gesù. Gesù non è più l'oggetto, ma sta dentro di me, nel mio cuore, nei miei desideri. Anzi, è me, il mio cuore, i miei desideri. Perciò quando scrivo non me lo trovo di fronte, ma dentro. Lo scrivere lui è un esprimere (premere verso l'esterno) me, il mio animo, la mia interiorità.

Scrivere Gesù è vivere la fede. La fede infatti non mi lascia staccato da colui in cui credo, ma mi introduce nella sua persona, mentre contemporaneamente egli è entrato in me. La fede non è uno sforzo, ma un indicibile connubio.
     Credendo io esprimo la mia fede, cioè Gesù. La mia fede non è più "mia", ma è lui. Perciò credendo esprimo direttamente lui, piuttosto che la fede di me o della mia chiesa. La fede quindi mi induce a dire lui, non me, a vantarmi di lui, non di me, a godere lui e conseguentemente godere me. Poiché Gesù è in me, io scrivo lui.

Questo ragionamento sembrerebbe cervellotico, se non fosse sostenuto dall'esperienza e dalla Bibbia. Un  richiamo biblico: quando Gesù rimprovera Saulo presso Damasco di perseguitare, non difende i cristiani staccati da sé ("Perché li perseguiti?"), ma lui nei cristiani ("Perché mi perseguiti?").
     Io scrivo Gesù. Questa convinzione sgorga dalla fede. La fede poi si trasferisce nella consapevolezza, e la consapevolezza progredendo diventa autopercezione gioiosa e amante.

GCM   11.05.03