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Recriminare

Recriminare è un diritto e un controbilanciamento psichico dell'innocente oppresso.

Le ingiustizie - e sono molte - non si devono accettare. Se si accettano se ne diventa complici. Le ingiustizie, per restare tali e non camuffarsi, possono soltanto essere subite a causa della violenza, quando non ci si può sottrarre. Altrimenti anche l'innocente diventa colpevole.

Però il recriminare, per quanto giusto e forte possa essere, non porta lontano. Esso deve andare oltre. Nei deboli diventa ribellione. Negli intelligenti astuzia. Nei credenti preghiera.

In ognuno di questi tre casi lo sfondo è unico: speranza in un cambiamento.


La ribellione oppone violenza alla violenza, o, se garba, una violenza di segno positivo contro una violenza di segno negativo. L'astuzia lascia le cose apparentemente come si mostrano, ma le cambia nel modo di trattarle e nel sottrarvisi: l'astuto coltiva la libertà di pensiero anche dentro le manette.

Il credente può diventare ribelle o astuto (l'astuzia è un dono di Dio: così leggiamo nei libri sapienziali dell'Antico Testamento), ma soprattutto prega per dare alla ribellione o all'astuzia la luce di Dio.

La preghiera è forza che desidera il cambiamento, lo attua, lasciandone però le modalità a Dio, al Vangelo. E più si legge e si assimila il Vangelo, più forte si fa la recriminazione contro l'ingiustizia, più chiara la via dell'astuzia, più intenso il desiderio del cambiamento.

Ricordiamo la teologia della liberazione dell'America Latina.

Desiderare che la cattiveria diminuisca, soprattutto la cattiveria che colpisce direttamente noi stessi, è un aprire per noi e per il mondo orizzonti diversi, penetrati dallo Spirito Santo.


GCM, 27.04.03