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La fretta

Quando operiamo nelle regioni di Dio e per gli scopi di Dio, l'ansia di affrettare il risultato delle nostre azioni ci svia dalla traiettoria di Dio.

A noi si confà l'operare, a Dio l'interiore e la visibile riuscita del risultato. Lo notava Paolo: io seminai, Apollo coltivò, Dio fece crescere.


Il regno di Dio è come il seminatore. Una volta sparsa la semente, questa si sviluppa, giorno e notte, in modo autonomo, senza che lo stesso seminatore se ne accorga. Quando poi la pianta è giunta a maturazione l'agricoltore la miete. Egli è presente alla semina e, quando avviene, alla mietitura, il resto è nelle mani di Dio.

Dio non ha bisogno della nostra fretta, ma della nostra opera. Così ci risparmia molte situazioni nevrotiche, che la fretta ovviamente cagiona.


Già Gamaliele, il maestro di Paolo di Tarso, faceva notare ai sinedristi, impressionati dal crescere di cristiani dopo la risurrezione di Gesù: "Se è opera dell'uomo, questa con il tempo tramonta; se è opera di Dio, non si riuscirà a sradicarla".

Col tempo: il tempo è il giudice che discrimina le opere di Dio, da quelle degli uomini. Il tempo si sposa alla pazienza. Esso scorre ritmico, non lo si ferma né lo si accelera.

Per non far prevalere la nostra impazienza nelle opere di Dio, è necessaria la totale fiducia in Dio. L'abbandono totale, perfino nel lasciare che la nostra opera si sviluppi dopo la nostra morte.

Basta sopportare giorno per giorno il peso della giornata. Gesù ci esorta a non preoccuparci del domani, di come ci nutriremo o ci vestiremo. Il Padre sa, il Padre provvede.


GCM, 05.08.03