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Musica e liturgia: 19-24

19) Purgare

Da qui in avanti, cominciamo a sognare uno sviluppo ulteriore della liturgia.
Se viviamo davvero pienamente la liturgia della messa, oggi in atto, incominciamo a notare qualche disagio di incompletezza e discrasia. Ci sono stonature tra la realtà (Gesù presente glorioso), la nostra posizione (figli di Dio amati, risorti, gioiosi) e certe tristezze che le regole rubricali impongono.
La stonatura di fondo, ora ricordata, ci fa chiedere se noi siamo presenti alla messa da risorti festosi o da disperati peccatori, da figli attorno alla tavola o da ospiti regolati in quindi e quinci (tralascio di parlare dei condannati ad ascoltare la messa, perché ora mi confido con chi desidera vivere pienamente e liberamente il senso della messa).
Ci "crediamo" già risorti in Gesù, come dice S. Paolo, oppure siamo titubanti, insicuri della misericordia di Dio Padre?

Certe formule liturgiche attuali (e non sono rare) non si rivolgono al Padre già qui presente in Gesù e nello Spirito Santo, ma paiono sollecitare un Dio assente da attirare, strattonandolo per la giacca. Che senso possono avere le preghiere che dicono "vieni" quando Dio è già presente, che dicono "desta la tua misericordia" quando Dio è eternamente misericordioso, che dichiarano l'uomo "indegno di stare con Dio" quando Dio ci ha già accostati a sé?
La liturgia futura dovrà togliere ogni senso di depressione psichica, di umiliazione insincera e bigotta, di pentimenti (che vanno collocati in altra sede di sacramenti), di indegnità bugiarda proprio nel momento in cui Gesù ci sta rendendo abili e degni di ricevere il suo dono. Siamo "degni" del dono proprio perché siamo poveri.
La futura liturgia va "purificata" dai molti elementi che si rivolgono al Dio dell'Antico Testamento, senza averlo filtrato attraverso la Risurrezione di Gesù.

GCM 10.02.04

20) Elementi essenziali

Se desideriamo musiche e canti adeguati a una liturgia solare (la notte è passata, ecco il nuovo giorno: avvisa Paolo di Tarso), è necessario far emergere gli unici elementi essenziali della messa.
L'elemento base è solo Gesù. Tutto si realizza in Gesù, con Gesù, tramite Gesù. Senza Gesù, la liturgia si declasserebbe a semplice rito, più o meno magico. Gesù è presente nelle persone radunate.
Poi ci sono due elementi portanti, che già negli Atti degli Apostoli sono ricordati: la dottrina degli apostoli (di coloro che hanno avuto l'incarico di trasmettere il Vangelo), la distribuzione del pane. Parola e banchetto.

Gesù è presente nella sua Parola, nel Vangelo. Senza ricordo delle meraviglie di Dio, non avrebbe senso la gioia del canto di ringraziamento. Ringraziare per che cosa?
Gesù è presente nel pane, ossia nel cibo. Il pane viene offerto, trasformato e consumato dai fedeli, i quali grazie anche al pane sono corpo di Gesù. Il pane trasformato è Eucaristia, segno e realtà ringraziante. Che sia pane e che sia tavolo di casa.

Lo Spirito Santo, presente nella parola e nel pane, trasforma pane e comunità.

Il nostro "celebrare" l'Eucaristia, è un cordiale ringraziare per il regalo della Parola, e per il pane, e con il Pane e il Vino, che rendono attuale e viva la presenza di Gesù, sotto l'aspetto di cibo (magari fosse banchetto familiare, come erano i "titulus" della primitiva chiesa romana!).
Attorno ai due primitivi ( e, ricordiamo, unici essenziali!) nel tempo si sono aggiunti e stratificati molti elementi, utili e significativi per la gente e per le esigenze della gerarchia dei tempi in cui furono inventati (ricordiamo le apologie penitenziali dell'inizio della messa), ma, almeno in parte, non più utili né significativi per oggi. Ad esempio è inutile attribuire un significato mistico all'infondere acqua nel vino oggi, quando nessun vino è tanto denso da richiedere l'annacquamento.

GCM 10.02.04

21) Profezia

Perché i canti siano pertinenti e spontanei, la nuova liturgia farà emergere tutta la potenzialità emotiva, intellettiva, spirituale della liturgia della parola.

Si principia con una proclamazione dei testi biblici.
Non è lettura per un lettore (questa è sublime pessima accademia), ma profezia per un profeta. La lettura è suono di parole scritte e morte nel libro. La profezia è parola sempre viva, efficace nel suo risuonare nell'assemblea. Fino a che chi proclama la lettura si sente un semplice ripetitore di cose vecchie (e spesso nemmeno capite da chi legge), non potrà trasmettere la vivacità, di cui è piena anche oggi la parola di Dio.
Una lettura proclamata, se entusiasta, potrebbe trasformarsi perfino in canto (evidentemente evitando le nenie scritte alla fine del messale), e indurre al canto (salmo, alleluja) l'ascoltatore.

Ho notato negli attuali lettori una specie di tristezza mortale nel leggere (contrabbandata per rispetto del sacro) e un terrore da punto fermo (guai fare delle piccole pause nel leggere).

La scelta delle letture-profezie dovrebbe essere compiuta dal coordinatore del raduno, tenendo presente gli avvenimenti del momento (altro è il tempo di una catastrofe, altro il periodo di ferie), il clima, i costumi, le situazioni locali. Questo richiederebbe fiducia accordata ai preti, che però non viene accordata, nemmeno quando indicano piccole innocenti e intelligenti modifiche!
Le letture-profezie saranno coordinate tra loro e con l'omelia, attraverso l'unica scelta tematica.
Esse, prima di essere proclamate, devono essere ambientate e storicamente e secondo le esigenze del presente, evitando pii sentimenti moralisti e devozionisti. Infatti Gesù deve assolutamente emergere, e la spiegazione deve soprattutto essere catechesi su Gesù e sulla nostra appartenenza a lui.
E, principalmente, dopo la proclamazione allargare spazi di silenzio, durante i quali la profezia dalle orecchie scenda a depositarsi nel cuore. Chissà perché anche nelle comunità religiose, gli spazi durante le liturgie sono fuggiti con orrore!

GCM 10.02.04

22) La presenza gioiosa

Nel fantasticare su un futuro della liturgia, ora guardiamo l'altro elemento essenziale: l'Eucarestia, essenziale come la Parola e come l'incontro. Questi sono tre veicoli sacramentali di Gesù che si fa presente in una nuova edizione nel tempo.

L'Eucarestia inizialmente era un banchetto in memoria di Gesù. Non l'agape per un morto, ma per un risuscitato.
L'epiclesi sui doni trasforma il pane e il vino. Opera mirabile, impensabile. Eppure logica. La chiesa richiama Gesù presente nel pane e nel vino. E' sbalordente che un povero uomo, una povera comunità realizzi questo. Eppure avviene, perché il Padre non vede l'ora di donare continuamente il Figlio. "Dio ha tanto amato da dare suo figlio!". Il desiderio di Dio si incontra con l'invocazione dell'uomo: ed ecco Gesù facilmente, non magicamente, con noi.

Dio felice di donare, noi felici di ricevere. E' felicità, è movimento di gioia.
La gioia si inizia con l'offerta: il "mio" pane, la mia offerta, sarà Gesù. Gesù eucaristia, Gesù nel povero nutrito.

Segue la gioia del "Praefatio": allegria (= in alto i cuori!), che presenta il dono già annunciato nelle profezie.
E poi l'invocazione dello Spirito trasformatore, che non è semplice memoria, ma "benedizione" (rendere il bene). Spirito invocato, prevalente sulla semplice lettera del ricordo. Gesù che non si piega all'Aristotele della materia e della forma.
E sarebbe bello se dopo la mirabile trasformazione dell'epiclesi si distribuisse l'eucarestia (come nel cenacolo), di modo che con Gesù nel cuore tutti pregassero il Padre, soprattutto tramite il Padre nostro.

La comunione diventerebbe inno di lode e di ringraziamento.
La presenza di Gesù rinnovata ancora una volta darebbe entusiasmo, vita, riconoscimento, canto.
E le nostre liturgie brillerebbero.

GCM 10.02.04

23) Cantando

Nella liturgia rinnovata, i canti farebbero parte del tessuto liturgico, non un'aggiunta opzionale. Infatti è liturgia che loda e che ringrazia, mentre si rallegra per il "racconto".
L'inizio verrà allietato subito dal Gloria o da un inno di inizio. Si eviterebbe quel modo ambiguo di salutare, che comincia con l'affermazione di trovarsi in Dio (nel nome), si contraddice con l'augurare che Dio sia (il Signore sia...) e finisce con la seconda contraddizione che è di trovarsi in Dio e pentirsi del peccato ancora presente.

Le profezie sarebbero l'eccitazione a canti di meraviglia e di lode (alleluja).

Durante le offerte a Dio, il canto diventerebbe un'offerta di cuori a Dio, un donare con gioia.

Evidentemente il Santo sarebbe l'esplosione tripudiante di un'assemblea che ha elevato i cuori nel sommo del buon umore, prima di assistere meravigliata e adorante al cambiamento funzionale ed essenziale del pane e del vino, divenuti subito cibo di un popolo festante e "brindante".

Alla fine dell'eucarestia un inno di ringraziamento accompagnerebbe il reciproco saluto, prima dell'arrivederci al prossimo incontro. Allora non il prete congederà con un "Voi andate", ma tutti si saluteranno, andando con la pace.

L'incontro eucaristico sarà semplificato nella struttura e nel significato. Perciò potrà occupare un tempo più lungo senza accumulare riti e senza stancare i presenti con alcuni non-sensi, ossia azioni che non si capiscono, se non dopo lunghe e complicate spiegazioni.
Il canto si innesterà in una atmosfera creata su basi antropologiche e cristologiche. Il Cristo che si attua nell'aver salvato l'uomo.

GCM 10.02.04

24) L'organo

Organo, orchestre e cori, sono manifestazioni in sé concluse, che si prestano anche alla liturgia?
     Sono, invece, bisogni profondi della Parola di Dio, di estrinsecarsi in molti modi?

Insomma: domina l'esibizione o prevale il servizio alla Parola e all'Eucarestia? E' più adatto un organista, capace di ascolto e di preghiera, che dopo aver udito la Parola di Dio, esprime i propri sentimenti con il suono, magari improvvisando, oppure l'organista che sa eseguire quel dato brano e che lo appiccica indifferentemente ad un contesto di supplica, di adorazione, di gioia, di pentimento, di ringraziamento...?

La stessa musica può adattarsi alla liturgia ed esplicitarne le movenze a Natale o a Pentecoste?
     Non basta esser perfetti organisti per essere organisti liturgici. E' necessario essere organisti "pii".      Che dire degli organisti in prestito, che, quando l'organo tace, escono di chiesa a far la fumatina o a prendere il caffé, oppure non pregano con tutti i presenti, o sono convinti che l'omelia non li riguarda?
L'organista, come il conduttore, come il profeta che legge, come il "preside" (brutto vocabolo per indicare un "servizio") sono parti integranti e integrate dell'"ecclesia". Cioè ognuno e tutti siamo chiamati - fin dall'eterno - a formare la famiglia del Padre e a lodare il Padre per il dono del Figlio.

L'organo, durante il canto, è a servizio delle parole del canto. Si odono, invece, troppi organi soverchiare il canto, farla da padroni, non di sostegno e di aiuto.
     L'organo non è liturgico solamente perché differenzia il suo timbro da quello dell'organo jazz, ma soprattutto per l'anima di chi lo suona e per l'atmosfera di tutta l'assemblea. Atmosfera chiara, precisa.
     Infatti, durante la liturgia, l'organo non deve creare romantiche atmosfere misticheggianti, ma parole di lode e di amore.

GCM  19.02.04