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Musica e liturgia: 13-18

13) L'urlo

Il primo gradino per rinnovare il canto liturgico, è proprio quello di mutare l'atteggiamento di fronte alla messa e nella messa.
Se il nostro atteggiamento è quello dei risorti che tripudiano, allora anche il nostro comportamento cambia, ossia è irrorato di luce e di gioia, di piacere e di vitalità.
Per esempio, la preghiera della colletta farebbe risaltare la prima parte, ossia il ricordo dell'opera e della qualità di Dio e del suo Cristo, prima di "chiedere". Più sensibili alla lode che all'elemosinare.

Per esempio, si sentirà zampillare dal cuore il bisogno di urlare insieme le risposte e i dialoghi. Al posto di uno scialbo e formale " il Signore sia con voi" e un ancor più insipido "e con il tuo spirito", si sentirebbe montare il bisogno di esultare perché il Signore è con noi! Urlare gli "amen", esternazione di un'adesione totale a quanto espresso nel pregare o nell'esprimersi. Non un amen come "finalmente è finita", ma un amen come "in questa gioiosa realtà ci siamo anche noi".

Urlare. Possiamo essere creduti pazzi. Pazzo era Francesco d'Assisi che cantava a perdifiato. Pazzo Gesù, che rovesciava i banconi. Pazzia della croce viene definita da Paolo la vita cristiana.
Urlare, perché il parlare e il cantare liturgico è essenzialmente un proclamare. Tutti abbiamo assistito per televisione alla "proclamazione" dell'Oscar attribuito a Roberto Benigni per il suo "La vita è bella". E tutti abbiamo visto quel sublime clown di Benigni scattare e saltare.
La proclamazione liturgica è il rinnovato svelamento, l'attuazione del mistero nascosto dai secoli in Dio, e mai "totalmente" ed esaurientemente conosciuto, e svelato ogni volta in più, mentre avviene la nuova proclamazione.

GCM 08.02.04

14) Movimento

L'attuale liturgia può essere ravvivata, se i presenti si sentono possessori dello spazio e del movimento.
Superare la comoda rigidezza dei banchi. Lasciar perdere l'inginocchiatoio. Incontrarsi entrando in chiesa, salutarsi senza aspettare quello stonato "Il Signore sia con voi", mentre il Signore è già con noi, quando due o tre si incontrano nel nome di Gesù, ossia per ricordare e amare Gesù. Rendere un offertorio pingue e danzante, e la comunione un'espressione riconoscente di gioia ( e non musona, quasi si ricevesse l'elemosina presso l'assessorato alle politiche sociali), un lodare Gesù che si elargisce ancora una volta nel tempo. Cantare durante la processione per la comunione. Purtroppo di questo canto resta un lacerto striminzito nella recita dell' "antifona alla comunione".

Perché l'urgenza del movimento? Che valore esso assume, quale funzione ricopre in relazione alla musica nella liturgia?
Non vediamo mai i cantori di un coro, quando cantano qualche aria che piace loro? (Non parlo dei cantori professionisti, per i quali un canto vale l'altro: è il loro mestiere). Si muovono: accompagnano il canto con leggeri dondolamenti.
Non ricordiamo gli isterismi, più o meno sinceri, dei cantanti moderni? Il movimento, preferibilmente scomposto, è incommensurabilmente più importante della loro musica.

Il movimento è una componente intrinseca dello stesso linguaggio musicale. Già il muoversi è ritmo e armonia. Davide cantava e saltava, mentre accompagnava l'arca. I Salii danzavano a tre tempi, mentre operavano il sacro (Salii = saltatori; tripudio = tre movimenti di piede). La liturgia presente ha bisogno di estrinsecare il movimento, per restare viva.

GCM 08.02.04

15) Il corpo

La voglia di cantare, e il "coraggio" di cantare in chiesa, sono favoriti dalla conoscenza reciproca che nasce tra i presenti.
Invece non poche persone entrano in chiesa quasi vergognose, con la paura dell'altro. "Che cosa mi diranno, se canto a squarciagola?". David quando cantò e ballò per festeggiare l'arca, certo non badava a che cosa avrebbe detto la gente. Però la moglie, quella sì lo rimproverò, perché egli si era comportato sconsideratamente. Quella moglie non ebbe più figli: o divenne sterile, o David rifiutò di unirsi a lei.

Le persone entrano in chiesa e sembra non si accorgano degli altri. Si infilano in un posto e basta. Un saluto, un cenno di intesa, la gioia di incontrarsi per godere dello stesso Gesù e per lodarlo assieme: non se ne parla neppure.
La chiesa non è, secondo loro, per gli incontri, ma è un ufficio, dove ci si reca per sbrigare la pratica della messa e pagare la tassa del dovere domenicale. La chiesa è il supermercato di ceri e di particole. Gli uni e le altre gratis o con pochi centesimi.

La fisicità dell'incontro, il guardarsi negli occhi sono esclusi. Ho trovato dei preti che schifano perfino il "datevi la pace". Sono contrari al toccare le mani per trasmettere pace. Rifiutano di consegnare la particola nella mano, per evitare il rischio di toccare le persone.
Il corpo è il cardine della salvezza. Ma essi pensano al corpo glorioso di Cristo, e non al proprio corpo e al corpo delle persone presenti.

La danza è corpo armonico. Il ballo è contatto con i corpi. L'Eucarestia è il corpo di Gesù. Un concerto di corpi, prepara il concerto delle voci. La vicinanza riscalda cuori e voci. E' il corpo che canta, se si trova a proprio agio in mezzo ai presenti.

GCM 09.02.04

16) Il papà

Per stimolare il nostro canto, il riconoscerci e il viverci figli, è una promozione entusiasmante.
Ricordo qualche sera invernale della mia fanciullezza, dopo cena, tutti, accanto alla cucina economica, che si cantava allegramente. Non per il vino (che non c'era), ma per il caldo che emanava la cucina a legna, con il dolce aroma del bosco.

Messa: figli radunati attorno al Padre, non solo per cantargli il nostro ringraziamento, ma per cantare con lui. Anche Gesù cantava. Inneggiò alla fine dell'ultima cena.
Cantava con il Padre.
Che canto può svilupparsi nella casa del Padre, se il Padre resta muto?
Ma che il Padre sia papà davvero! Altrimenti ci incute timore, e spegne il nostro desiderio di canto.

Quel "Signore" rivolto a nostro papà, sa molto di padre padrone. Come la nobile contessa, quando accenna al marito: non dice "mio marito", bensì "il signor conte". Quel "Signore", teologicamente molto significativo, è un retaggio ebraico. Però al mio orecchio, oggi, mi indica non un padre vicino, ma un signore distante, con il quale è un atto di inciviltà prendersi la confidenza di chiamarlo papà o babbo, come faceva quello sconsiderato di Gesù.
Eppure come cambierebbero le nostre liturgie domenicali, se anziché lasciare la prerogativa di parlare della "casa del Padre" a un volumino di raccolta di canti (molti dei quali non proprio ben riusciti come innario cristiano), noi ci vivessimo davvero raccolti nella stanza del nostro papà?

Cantare con il Padre le stesse lodi al Padre, magari con quella vena affettuosa e civettuola del "mein papà". Lui si sentirebbe circondato dal nostro affetto, che è la risposta genuina e commossa al "papà vi ama" sottolineato da Gesù e dalla prima lettera di Giovanni.

GCM 09.02.04

17) Sorriso

Per purificare le nostre liturgie dal paganesimo infiltrato tramite devozionismi e ritualismi, è opportuno superare la tristezza della paura davanti al "sacro".
Il Dio di Gesù non è sacro, ma santo. Non cosa (idolo), ma persona. Non tempo o spazio dedicati al sacro, ma cuore aperto all'eterno e all'infinito.
Superare la paura del sacro, genera anche la voglia e la capacità di sorridere. Fortunatamente i liturgisti non hanno fissato regole per quando sorridere e quando astenersi dal sorriso. Essi sono troppo seriamente obbligati alla ritualità (rubricisti!) per considerare che nella liturgia si possa aprire spazi e occasioni per il sorriso.

Io sono stato rimproverato perché durante la messa mi trovo a sorridere. Devo confessare che, di solito, la messa mi diverte.
Io mi chiedo come si fa a non essere contenti di tutto quel "ben di Dio" che si allestisce durante la messa! Il Padre che ci rioffre la sua parola e il suo Figlio! Che cosa vogliamo di più? Se non viene da sorridere davanti a doni così succulenti ed esaltanti, quando allora sorridere?

Il salmo, quando ancora Gesù non era stato donato al mondo, recitava: " Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento" . Se allora, perché non oggi, quando vino e pane non sono soltanto vino e pane, ma anche l'amabile Gesù?
Messe sorridenti, che ricordano anche la Passione di Gesù, ma come necessaria premessa della Risurrezione.
Messe sorridenti al pensiero del Dio benignamente presente. Sorridenti perché fomento al nostro ringraziare e al nostro inneggiare. Sorridenti, perché invase dallo Spirito Santo.

GCM 10.02.04

18) I canti

Se lo sfondo psichico e comunitario della messa è il tripudio per i doni e per la presenza della Trinità e per la nostra condizione di peccatori perdonati e risorti, anche i canti devono essere intrisi di tripudio e di lode. L'estetica dei canti deve provenire proprio dal Gesù vissuto presente.

Perciò all'inizio dell'incontro è necessario un canto festivo, che esalti l'incontro fisico tra di noi e con Gesù. Gesù è reso presente proprio dal nostro incontrarci. Quando io dò la mano a un'altra persona, con la quale mi accordo per "celebrare" la bellezza di essere salvi, allora quello stringere la mano reclama e riporta Gesù tra di noi.

Perciò mentre odo le profezie della Bibbia che vengono "declamate", non solo tristemente lette (quasi sempre con seriosa tonalità catatonica: è sacro!), allora mi viene urgente il canto del "lodate Dio", ossia dell'Alleluja.

Mentre tutti offriamo qualche cosa (sempre poco!) per rendere bella l'adunanza, il canto all'offertorio deve essere danzante. "Il donatore contento di donare è amato da Dio" ci rammentano Paolo e il salmo. Il dare avaro non stimola canti.

Quando siamo introdotti nella "grande preghiera", tutti noi esplodiamo nell'inno angelico "Santo", inno cantato da assemblea, coro, solisti, sottolineato dall'organo. E' qui il culmine di ogni lode.

E poi il canto di riconoscenza e di lode (eucaristia!) alla processione della comunione, dove non persone musone (pericolo di sacrilegio?), ma visi sorridenti per il dono che si riceve, s'accostano a ricevere il grande regalo.

Infine una festa che si conclude cantando, deve terminare l'incontro. Noto che le persone fuggono, a messa terminata, come se cercassero i pompieri, perché la chiesa sta bruciando.
     Canto finale gioioso. Ultimo miele di festa.  

GCM 10.02.04