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La morte in Dio

L'arco della vita, si dice. Come l'arco, la vita ha due situazioni che si collocano sullo stesso piano: nascita e morte (dal non essere all'essere in questo mondo, e viceversa), infanzia e vecchiaia.

E' un arco, non un circolo chiuso, perché prima della nascita e dopo la morte c'è uno spazio, che collega nascita a morte, e morte a nascita: Dio che fa nascere, creando, e Dio che accoglie dopo la morte.

Gli psicologi, come i medici, sono dedicati a scrutare le movenze psichiche delle persone. Essi possono soltanto indagare dalla nascita (e dal concepimento) alla morte. Il prima e il poi è affidato ad altre discipline: filosofia, religione, fede.

La filosofia tenta la ricerca dell'oltre (ricordiamo Platone). Le religioni ipotizzano pesantemente (oltretomba, rinascite, nirvana..). La fede riporta tra gli uomini la verità di Dio: il disegno eterno di Dio prima della nascita, le braccia accoglienti di Dio dopo la morte.

La psicologia scopre le analogie emotive e intellettive tra il periodo infantile e la vecchiaia, tra la fase neonatale e quella prossima alla morte.

Tra le molte analogie, mi garba ricordare il sincretismo emotivo della prima infanzia, e il bisogno di "riepilogo" del malato ultimale. Quel riepilogo che, nel credente, spesso sfocia in una confessione.

C'è un'analogia, che a me pare più interessante e che opino sia la spinta alla "confessione" del moribondo. Infatti il bambino è tutto fede, è plasmato della semplicità di Dio, perché suo è il regno dei cieli.

Il moribondo, avendo perduto tutte le sovrastrutture dell'educazione e della civiltà, si trova nella primitiva nudità psichica, dove il contatto con Dio è favorito dalla trasparenza. Al moribondo resta soltanto l'"essere", l'esistere nel corpo quasi annullato ancora per poco. Semplice essere, che è in contatto con l'Essere semplicissimo.

GCM, 20.11.03