- Racimoli (2)


Definiscono come racimoli, ciò che ho già fatto l’anno precedente, alcuni spunti che riguardano S. Lorenzo, e che non si trovano nell’opera di Luca Trevisan, ma che possono aver un valore di completamento o almeno di curiosità.

Altare di S. Luigi o porta laterale
Una foto dell’allora altare di S. Luigi, risalente al 1929, quando era adibito anche ad altare della reposizione (come usa il Venerdì Santo) mostra vuote di statue le due nicchie laterali.

   
1929. Altare Gonzaga adibito ad altare della reposizione. le nicchie laterali sono vuote
 1930. Altare Gonzaga con la tela di G. Busato rappresentante S. Luigi. Le nicchie laterali sono vuote.


Nel 1933 (31 Agosto), nel Verbale del Capitolo Conventuale è scritto che si decise di far scolpire due statue, raffiguranti la Madonna e S. Giuseppe, in pietra tenera, per riempire le due nicchie. Il compito di realizzarle fu assegnato alla Ditta Peruffo.

        


Le due statue furono scolpite e collocate nelle due nicchie. Qui rimasero fino alla ricollocazione delle statue di Adamo ed Eva, che in quel tempo erano state traslocate, a causa della chiusura del Tempio, presso la Casa ri Ricovero.

                     
                             Altare Gonzaga, oggi


Al ritorno delle statue originali di Adamo e di Eva, la Madonna e S. Giuseppe furono sloggiate e trasferite nel Chiostro quattrocentesco, dove rimasero negli angoli dello stesso chiostro. Poi una poco indovinata decisione da parte di un poco illuminato economo e di un architetto, ancora meno sagace, furono trasportate all’aperto (forse dopo tanto tempo al chiuso di una chiesa sarebbero finite asfissiate), nel giardino fuori della cucina, in vista di Motton S. Lorenzo (come purtroppo altre statue, che ancora colà gemono dal freddo), per godere il deterioramento dovuto alle piogge, fino a che il buon senso di un fraticello le ripose al coperto in chiostro, con la felice idea (purtroppo) di inserirle tra le statue del trittico settecentesco, già presente all’altare maggiore. Di questo abbiamo trattato lungamente in altro racimolo.



Non fu tutta colpa dei Francesi
Ho già descritto le lugubri avventure del Tempio e del Convento di S. Lorenzo, all’invasione dei giacobini francesi.
Però il merito di quelle distruzioni non fu soltanto degli amici d’Oltralpe. Una buona mano fu data generosamente sia dalla Repubblica Veneta, sia dall’altrettanto nobile Amministrazione cittadina, passata poi in mano ai Giacobini, amici di quelli d’Oltralpe, quelli che Arnaldo Arnaldi 1° Tornieri, gentilmente definisce “alte canaglie”.
Nel 1789 furono i Veneti Rappresentanti a destinare Chiesa e Convento ad accogliere i feriti negli scontri tra Francesi e Austriaci. Quindi l’inizio dei mali di S. Lorenzo fu inaugurato dalla gloriosa Repubblica di Venezia.
Dopo il 1770, l’ostilità verso gli Ordini religiosi si propaga. Anche il Papa Clemente 13, sopprime i Gesuiti nel 1773. Sappiamo già ciò che Andrea Querini, deputato ad pias causas, aveva fatto con i beni degi enti ecclesiastici e degli Ordini religiosi, forzatamente dismessi. Un modo di procedere certamente non simpatizzante verso gli Ordini religiosi (Cfr Renzo Derosas, I Querini Stampalia, Venezia 1987).
Anche una buona parte di Vicentini (nobili, commercianti, clero) si affianca volentieri ai francesi per martoriare chiesa e convento di S. Lorenzo.
Prima ancora dell’avvento delle orde francesi, in città si rafforzava un gruppo, che aveva abbracciato le idee giacobine, le quali incitavano alla “democrazia”, in opposizione decisa all’aristicrazia dominante.
Le vessazioni francesi, a Vicenza, filtravano allora attraverso la nuova municipalità, propensa a non difendere gli ordini e gli istituti religiosi. La spogliazione dei beni, degli edifici, delle comunità, si attuarono a Vicenza dalla Municipalità vicentina. La municipalità democratica si comportò come tutte le persone leggere, che si lasciano trascinare dalle novità (soprattutto se urlate), e poi si trovano irretite a … compiere cattive azioni e grosse sciocchezze.
Dei danni, delle ruberie, delle ingiustizie perpetrati contro chiesa e convento di S. Lorenzo, ne ho già scritto altrove.

Il restauro recente


 

 

Il giorno 11 Aprile di quest’anno, si iniziò l’esposizione della tavola quattrocentesca, appena restaurata grazie alla donazione della Fondazione Roi. Per l’occasione è stato aggiunto il nome di Giuseppe (Boso) Roi, sulla lapide gratulatoria murata nel Chiostro, dove già figuravano il nonno e il padre di Giuseppe Roi.(Mi riprometto di parlarne in altra occasione, quando una icerca parallela e convergente alla mia si interessava di informarsi sul donatore della stesso dipinto).

 A proposito dei suoi antenati, come benefattori di S. Lorenzo, trovo scritto un grido di dolore nei Verbali dei Capitoli Conventuali, il giorno 30 Agosto 1947.
Testualmente: “Si è parlato della morte del marchese Roi Giuseppe, avvenuta a Fiuggi improvvisamente. È venuto così a mancare un cespite di entrate per noi, tanto da preoccupare tutta la

comunità e per supplire a questo deficit si è pensato di mandare il confratello Fr. Ermete alla questua anche di soldi e finora promette bene”.

La dicitura non è tra le più umane nel confronto del marchese, divenuto un cespite.
Nel Capitolo del 30 Settembre 1947, trovo scritto: “Si è parlato della morte del marchese Roi Giuseppe insigne benefattore del convento e della nostra chiesa. Questo sbilancio è prodotto dalla mancanza mensile del suddetto Marchese”
Da questo verbale si desume che il marchese Giuseppe Roi, si era imposta una specie di autotassazione mensile a favore di S. Lorenzo. Bei tempi, anche rinnovabili, sempre che …
Il bello della faccenda è che nei verbali successivi si legge:
“29 Novembre 1947: Non si è potuto leggere il bilancio del mese, perché mancano le entrate e le spese del relativo mese essendo ancora insoluto il deficit per mancanza di fondi.
“31 Dicembre 1947: Siamo ancora in deficit, ma speriamo nella Divina Provvidenza”.
Soltanto nel Maggio del 1948, si parla semplicemente: “Si è tenuto il bilancio delle entrate e delle uscite”.


S. Lorenzo: il Chiostro
I turisti visitatori, e son parecchi, dell’edificio principale, spesso desiderano vedere il chiostro adiacente, che è sempre ammirato, anche se poco conosciuto dai vicentini, pur essendo aperto ogni giorno, contemporaneamente alla chiesa.


Evidentemente i turisti visitano l’edificio, facilmente scambiato per museo. Dificilmente visitano proprio la chiesa.
Parlando del chiostro mi piace ricordare quanto segue.
Nel 1932 fu aperta la porta che dalla chiesa conduce nel chiostro. È bene notare che fu “riaperta”, come si legge in un Verbale deil Capitolo Conventuale del 29 Luglio 1932.
La chiusura, probabilmente avvenne, quando le arcate del chiostro furono accecate per trasformarle in abitazioni.
Il resto di tali abitazioni è ancora evidente in una foto, riprodotta nel Numero unico di “Vicetiae ars” del 26 Aprile 1914, quando si celebrò la riapertura del Tempio dopo i restauri del 1904-1914.

   Il quel numero, che varrebbe la pena ripubblicare in un volumino, viene riprodotto il tempio liberato dalle casette appoggiate sulla fiancata orientale. Si vede ancora l’arco della cappella unita alla facciata del Tempio sul lato occidentale. Il lato del chiostro addossato alla chiesa, addirittura è tutto chiuso da murature, che nascondevano gli archi e le colonne del chiostro. E una porta e alcune finestre si aprivano dentro tale muratura.
Parlando del chiostro, mi sembra utile ricordare che anche pubblicazioni recenti riproducono una pianta del chiostro e del convento di S. Lorenzo di vecchia

data, ossia quella pubblicata nel 1927 da Sebastiano Rumor. Oggi la pianta del chiostro e del convento è molto differente.

Francesco o Bonaventura?

Il magnifico altare Pojana, unico nella sua bellezza, per interessamento della Fondazione Roi è in restaurazione e in rinnovamento.

Nello scritto prezioso di Sebastiano Rumor pubblicato nello stesso numero di Vicetiae ars, e nel suo volume su S. Lorenzo del 1027, troviamo che le due figure di santi, riprodotte a fianco del Cristo deposto, sono Bernardino da Siena e Bonaventura. Altri scritti, non ultimo il volume di Luca Trevisan, parlano di S. Francesco e di S. Bernardino da Siena.
Allora: Francesco o Bonaventura, dato che la rapprentazione di Bernardino è fuori discussione, come attesta l’emblema del nome di Gesù?
Per Bonaventura deciderebbe il libro sostenuto dal Santo, essendo Bonaventura Dottore della Chiesa. Per Francesco la croce e forse il libro delle regole (o il Vangelo, come si vede nella lunetta sopra la porta del campanile) nelle mani del santo. Sembrava mancare un elemento particolare, già al tempo della fattura della scultura tradizionale nel rappresentare Francesco d’Assisi:
 

le stimmate. Consideriamo che sia Bonaventura che Bernardino furono scrittori fecondi, e che, quando l’altare fu eretto, la cappella Priorato era già da tempo dedicata a S. Francesco. Anzi proprio nel documento notarile, con il quale il Pojana siglava l’accordo con i frati per la costruzione dell’altare, si ricorda che tale cappella doveva essere “penes cappellam sancti Francisci positam in capite dictae ecclesiae Sancti Laurentii”. Forse nel libro qualcuno avrebbe potuto anche scoprire qualche accenno ai libri di Bonaventura sul Cristo crocifisso, come “Le sei ali del Serafino”, il “Legno della vita”, l’”Ufficio della Passione”. Si noti pure che molte effigi di S. Francesco sono senza stimmate; ma esse si riferiscono alle storie della sua vita: vedi Giotto. Evidentemente un giudizio definitivo ora è possibile. Ogni dubbio è superato da quello che si vede chiaramente proprio durante i restauri dell’altare, oggi compiuto dalla ditta Arlango: sulle mani di Feancesco ci sono proprie le stimmate: quindi S. Francesco.
Per la datazione dell’altare stesso, basta ricordare che S. Bernardino da Siena morì nel 1444 e fu canonizzato poco tempo dopo ed entrò nel culto pobblico. Forse alla fine del presente restauro dell’altare potremo osservare meglio la figura che sta al lato destro del Cristo deposto.

I tempi dell’inizio
Nel 1280 la cattedrale di Vicenza e i frati di S. Francesco firmarono il contratto per lo scambio di S. Lorenzo a Porta Nova con la chiesa e il convento di S. Francesco.
L’atto notarile rileva che i frati ne guadagnavano nello scambio.
I frati chiedono quattro anni di tempo per il trasloco. Infatti, mentre a S. Francesco avevano una casa, a S. Lorenzo avrebbero dovuto organizzarsi per allestire una loro abitazione.
Da subito però si impegnano per costruire una nuova chiesa, quella sublime che noi ancora oggi ammiriamo. Infatti soltanto due anni dopo il contratto, cioè nel 1282, acquistano un terreno a ovest della chiesa per costruire la loro abitazione. Nello stesso anno, secondo il Sartori, probabilmente la chiesa aveva raggiunto il tetto.
 Prima la chiesa e dopo la loro abitazione. Proprio come Dio voleva, attraverso le parole del profeta Aggeo, che rimproverava gli Ebrei, ritornati dall’esilio di Babilonia, perché avevano ricostruito subito le loro abitazioni, prima di riattare il Tempio di Dio, trascurato da troppo tempo.

S. Lorenzo: il convento, oggi (se rimane quello che è)
Nel 1977 si tenne una tavola rotonda nel locale di allora, titolato al Piccolo Ateneo Zanelliano (PAZ). Correlatori erano: Neri Pozza, Giorgio Sala, Franco Barbieri. Il tema: “Quale significato riveste oggi S. Lorenzo?”. Franco Barbieri ne sottolineò l’importanza architettonica e urbanistica. Veri Pozza ne delineò il valore culturale. Giogio Sala illustrò l’importanza civica e religiosa.
Ricordo anche, di allora, due di tra i molti interventi. Uno del Sig Pivetta, dei gruppi di preghiera del P. Pio: non parlò, ma riprodusse un discorso registrato sulla santità del clero. L’altro di Antonia Neri, che indicava l’inutilità dei frati in centro città, mentre le periferie erano senza clero. Evidentemente la Signora, come anche molti prelati di tutti i tempi, non riusciva a distinguere clero regolare da clero secolare, che rivestono funzioni molto diverse. E forse ancor oggi perfino religiosi molto approfonditi sul carattere della vita dei frati, credono di dover rendere preti, viventi in una sola casa, ciò che è invece una comunità religiosa. Che Dio li perdoni.
Ricordo bene, perché i due interventi furono fuori tema e causarono fastidio soprattutto in Neri Pozza.
Sulla chiesa di S. lorenzo si è parlato, scritto, e se ne parla e parlerà ancora molto.
Però facilmente ci si dimentica che, a differenza delle chiese parrocchiali in città, il Tempio di S. Lorenzo è anche parte di un complesso più organirco: tempio, chiostro e convento. Ossia centro di spiritualità.
Sul Tempio e sulla sua funzione sacramentale e mistica scrissi anch’io una nota dal titolo “La dinamica del Tempio di S. Lorenzo”. Però sul perché e sulla funzione di una comunità francescana, accorpata al Tempio di S. Lorenzo, si è trattato poco.
Forse dimenticando che tutto S. Lorenzo è “Un’oasi di spiritualità nel centro di una città”, come è scritto.
La mia riflessione scorrerà su tre fulcri: valore di essere comunità, il suo influsso spirituale e di fede, il suo impatto culturale.

a)- Il valore di essere comunità.
Una realtà costante è quella che i francescani vivono in comunità, e, per essere francescani autentici, o si sceglie il romitorio o si vive in comunità, che sia comunità, ossia il luogo della comunicazione e della comunione.
A Vicenza la comunità francescana esistette già ai tempi di S. Francesco, quando i francescani dal 1220/1222 si trovavano a S. Salvatore, poi nel sito S. Francesco dalle parti della Cattedrale.
Quando nel 1280 si trasferirono in S. lorenzo, vicino a Porta Nova, vi si insediarono come comunità, eressero come comunità il Tempio di S. Lorenzo. Qui vissero, con vicende diverse, fino al 1797, avendo allora la Repubblica di Venezia indicato il  Convento e la Chiesa come ottimo ricettacolo per i feriti, prodotti dalle guerre napoleaoviche.
Pur dispersi, perché cacciati dal convento, prima si riunirono saltuariamente nell’oratorio dell’Immaolata accanto al Tempio, poi si trasferirono nel complesso della Chiesa dei Servi, trasportandovi quanto fu possibile salvare dalla furia dei giacobini e salvando quanto anche esteriormente quanto richiamava il senso di comunità.
Furono poi dissipati, per decisione di Napoleone, realizzata dal re Eugenio.

Nel 1927 ritornarono a S. Lorenzo, come comunità, non come semplici rettori del Tempio. Dalla riapertura del Tempio nel 1839, la liturgia della chiesa fu curata dalla confraternita dei Rossi. Ma una autentica comunità francescana (conventuale, come conventuale rimane sempre la vita in S. Lorenzo), si ritrovò proprio dopo il 1927.
Di questa rinata comunità, S. Lorenzo è casa e famiglia.
Ordunque: questa comunità, quali valori rivive e rappresenta? Anzi, quale valore essa è?
La comunità di S. lorenzo è basilarmente una comunità cristiana, qualità questa esigita sempre da S. Francesco. Risponde quindi a quell’invasione dello Spirito Santo, che permea l’universo, e che è quasi particolarmente concentrata là dove sono due o tre persone unite nella Persona di Gesù.
Sulla base cristiana, la comunità francescana di S. lorenzo, si declina come comunità di “fratelli”, cioè di frati secondo le indicazioni e le esigenze di S. Francesco. Francesco indicava il raduno dei suoi come “fraternità”. Quindi si tratta di una comunità fraterna, cosicché, almeno formalmente, essa è definita quale “famiglia”.
È una famiglia raccolta e vivificata dallo Spirito, affinchè lo stare assieme delle persone, sfuggadecisamente al concetto di convivewnza, sia stabile che alberghiera. Il valore della permanenza nel vivere nello Spirito di Dio, è emblema della unione di una comunità conventuale.
Ultimamente si parla sovente dell’utopia di S. Francesco, nel creare la sue comunità. L’utopia della povertà, della castità, e dell’obbedienza. L’utopia di vivere secondo il Vangelo. Utopia sia nella possibilità di realizzare appieno e definitivamente, sia nella continua tensione verso il Regno definitivo di Dio.
Allora è una comunità-paradiso?- Questa domanda mi fa sorridere.
È una comunità primaria, psicosocialmente, con le dinamiche di ogni gruppo primario. Il suo valore non sta nell’evitare (o nel subdolamente nascondere) le difficoltà e accettare i vantaggi del vivere assieme, ma nel riconoscerli ed elevarli a valori di salvezza.

b) Il suo influsso spirituale
Quanto di Gesù la comunità trasmette a coloro che l’avvicinano, e, ancor meglio, la frequentano?
Una comunità, in quanto centro di spiritualità è chiamata a irradiare Gesù e la sua grazia.
Ma solo se comunità, ossio raduno di alcune persone prese dallo stesso spirito e viventi in unione. La vocazione francescana, prima di tutto è vocazione di “frati”, ossia di unità familiare. In questo tempo mi avvince molto il concetto di “conventualità”, e ne tratto in altra sede.
Uno dei canali di irradiazione è la chiesa, però tutta la vita e tutti i locali della comunità di S. Lorenzo, sono destinati a essere tanto pregni di Gesù, da esprimerlo sempre come dai suoi pori.
Come comunità si opera in chiesa, nella preghiera comune, nella liturgia, nell’erogazione dei sacramenti.
Una omunità francescana senza Eucarestia, è una comunità senza significato e senza scopo. Un frate, che si sottrae all’Eucarestia comunitaria, è fuori della spiritualità  e anche della vita francescana, secondo quanto apprendiamo dagli scritti di Francesco. Se riflettiamo sulle origini francescane – e quindi sulla costruzione dello stesso Tempio di S.Lorenzo, comprendiamo anche meglio l’influsso spirituale, esercitato ed esercitabile dalla comunità.
Tutti sanno che la diversificazione dai raduni stabili di religiosi riuniti in comunità, da prima a dopo il formarsi degli Ordini mendicanti, sta anche nella collocazione delle case di religiosi. I monaci infatti preferirono la campagna (anche per bonificarla), i siti lontani dai nuclei urbani, dove però costruirono dei nuclei abbaziali, talvolta eretti in autentiche fortezze. I francescani invece scelsero i borghi e le città, dove inserirsi tra la gente comune per portarvi Gesù e la pace tra le fazioni.
Vivere, quindi, con la gente del popolo per comunicare con la gente.
Franceso voleva appunto che da un lato i frati andassero per il mondo, e dall’altro che, quando convenivano insieme, ossia facevano “convento”, si trovassere negli abitati.
Con il tempo questo convenire scelse dei luoghi stabili. Ivi però, come troviamo scritto in antichi documenti, costruirono case povere, spesso edificate con legname e materiale povero, facilmente preda del fuoco. Quindi le comunità dovevano, per un certo tempo trascurare il servizio della predicazione e dei sacramenti, per ricostruire, con le proprie mani, le case stesse. Si giunse alla fine alla decisione di costruire conventi e cappelle, o chiese di pietra o di mattoni, affinchè i frati fossero più disponobili al servizio spirituale delle persone.
Perciò i conventi e le chiese conventuali, all’inizio furono costruiti non come monumenti a servizio dei frati, ma come luoghi, che diedero agio all’azione spirituale della comunità. La l’ampiezza delle chiese serviva per accogliere gli uditori della prediche, e spazi per le processioni al coperto.
Insomma, anche nel costruire, l’iniziativa era quella di dare spazio al beneficio spirituale della gente. Che poi sempre l’intenzione iniziale si sia mantenuta, è un altro paio di maniche. Però che oggi si possa e si debba ritornare alle intenzioni iniziali è un obligo morale della comunità: servizio spirituale e emanazione di pace e di bene.

c)- Il suo impatto culturale
Il passaggio dalla sezione che tratta dell’influsso spirituale all’impatto culturale è ovvio  e scontato. La cultura è, per natura sua, influsso spirituale. L’influsso spirituale è già cultura svolta in un ambiente caratteristico, cheché si dica in ambiente dove scorre un certo esclusivismo intellettualistico e astratto.
Quando l’influsso spirituale si articola in impatto culturale, utilizza gli strumenti culturali usati nel sistema umano, dentro il quale la spiritualità opera, immettendo in essi la tensione spirituale originaria. Una cultura neutra non esiste, perché ogni popolo e ogni persona inseriscono nella cultura locale la propria anima.
Leggendo la storia francescana di S. lorenzo, troviamo una vasta rassegna di eventi culturali: scuola di teologia, ricca biblioteca (dispersa durante l’invasione francese),, accoglienza di ricerche mediche, manifestazioni musicali, ecc.
Dopo il ritorno dei conventuli nel secolo scorso, si riaccese la corrente culturale dentro il convento. Ecco allora le prima modeste manifestazioni teatrali, il riordino e l’aumento della biblioteca, i concerti in chiesa, il Piccolo Ateneo Zanelliana (PAZ: per il tempo in cui fu realizzato, cioè nel periodo post-bellico era uno dei pochi locali culturali a Vicenza), qualche modesta pubblicazione, e costante presenza nelle pagine dei tre quotidiani, che si interessavano della vita e della cultura locale.
Purtroppo si ebbe un periodo di oscurantismo, quando si sciolsero il coro polifonico, la Gioventù Francescana, il Piccolo Ateneo Zanelliana ed altro, forse per il contatto con alcune persone, per un concetto poco illuminato dei frati, o anche per indicazioni  esterne.
Nel 1976, con la presenza del Prof. P. Giacomo Panteghini come guardiano, si volle rilanciare il settore culturale. Io stesso ritornai a Vicenza per rispolverare, secondo il progetto del P. Provinciale, il settore culturale.
La tavola rotonda del ’77, di cui sopra, faceva parte di questa politica conventuale.
Un primo tentativo di dissepellire il settore culturale, fu quello di prendere contatto con alcune persone, che avevano collaborato con il PAZ: Prof. Vicari, G. Sala, Prof. G. Mori. Dal Prof. Mori fu esibita una proposta: utilizzare i locali dell’ex Piccolo Ateneo Zanelliano, per svolgere azione culturale, attraverso la Società Dante Alighieri, della quale lo stesso professore era presidente. La proposta fu accolta e così si riaccese un’attività culturale affiancata stabilmente alla comunità di S. Lorenzo, non come semplice attività ospitata, quali l’ANEB, I Poeti Dialettali, l’AUSER.
Dopo il Prof Mori, alla presidenza della Dante fu eletto A. Kozlovich, che continuò lo spirito del Prof. Mori. Alla fine del presidentato di Kozlovich, questi organizzò come espressione della cultura propria del Convento l’ACSAL (Associazione Culturale San Lorenzo). l’ACSAL poco dopo fu sostituita dal gruppo culturale SPERI (SPiritualità E Ricerche), presentemente operante, con la quale ci si ricollegò allo spirito del PAZ, anche nell’affidare la Presidenza a un religioso della comunità.
Così ogni altra attività svolta nella sala per le manifestazioni culturali (divenuta intanto AULA FRANCESCANA, rinnovata e fornita di una completa attrezzatura video-fonica), fu semplicemente e francescanamente ospitata, e si continua ad ospitare.
L’uso dell’Aula Francesana non è e non fu l’unica forma di attività culturale di S. Lorenzo.
Ricordo con nostalgia, tutta l’attività svolta per decenni, attraverso due radioemittenti: prima Radio NOI, poi Radio Insieme. La voce e il cuore del Francescanesimo si difondevano, venivano seguite e apprezzate dalla gente e dalle autorità, che si prestavano a partecipare alle nostre trasmissioni. La prima radio era, finanziariamente, sostenuta da Attilio Maraschin; però non rendeva economicamente e fu alienata. La seconda era fondata e sostenuta dai soci della Cooperativa Iniziative, alla quale partecipò anche il Convento. Cessò di operare per disposizione di una certa applicazione della legge. L’ovvio ricorso al TAR, si lasciò perdere, perché le cose sarebbero andate per le lunghe. Gli strumenti dismessi servirono a creare la dotazione dell’Aula Francescana, che a poco a poco veniva allestita sempre più acconciamente. Il resto di cassa passò prima all’ACSAL e poi alla SPERI, e servì a completare la mobilia della stessa Aula Francescana.
Un altro settore culturale del Convento di S. Lorenzo è sempre stata la biblioteca. ultimamente la fase di catalogazione elettronica, grazie all’apporto prezioso di un gruppo di volontari, è molto avanzata. Finora sono stati catalogati circa 18.000 volumi. La biblioteca in seguito sarà aperta alla consultazione anche delle persone, che non fanno parte della comunità religiosa.
Noto che i francescani avevano una biblioteca fin dall’inizio della loro presenza a Vicenza. Questo sembra confermato dal fatto che nel testamento di Zilio Teco di Marostica, stilato nel 1253, prima ancora che i francescani si trasferissero a S. Lorenzo, si legge che “iussit dari pro facere libros Conventui et fratribus de sacto francisco de vicentia”. Libri per i frati, non per la chiesa soltanto, come vorrebbe il Rumor. Sorrido al pensiero che qualche decennio fa, un confratello, perfino diplomato, voleva smobilitare totalmente la biblioteca di S. Lorenzo, alienando libri e scaffali.
Mostre pittoriche e scultoree, manifestazioni musicali e altro sono ospitati nel Chiostro. In chiesa, concerti, raduni culturali, per es. su Dante, sacre rappresentazioni esprimono il lato culturale oltre che religioso della spiritualità francescana.
A conclusione di questo volo d’uccello sul perché di una comunità francescana nel centro di una città, comunità non presenza di un singolo per quanto bravo e perspicace, desidero esprimere la riconoscenza a Dio e a molte persone, per le centinaia di uomini e donne, che si sentirono e si sentono legate, partecipi e collaboranti, talvolta con un fervore più intenso degli stessi religiosi, per tutto quello che il nostro centro di spiritualità e di cultura è riuscito a relizzare, grazie alla bontà misericordiosa del Padre.