- Racimoli (1)

So che queste mie righe dureranno quel po’ che dureranno. Mi fanno sorridere le lapidi scolpite, anche nella nostra Chiesa di S. Lorenzo, laddove si trova che quel altare è sotto il patrocinio del donatore e degli eredi “in perpetuum”. Dove sono oggi?
Vagando nel nostro Tempio, durante il mio turno di presenza, mi soffermo su particolari, forse strani e insignificanti che tuttavia artigliano la mia curiosità. Ora un particolare, ora uno scritto. Allora ricorro all’opera del mio maestro Luca Trevisan (Il Tempio di S. Lorenzo, Zel edizioni, Friuladria Crédit Agricole, 2011), per essere illuminato. Qualche rarissima volta, nel libro di Luca non trovo luce piena, e allora mi do’ da fare per aumentare la luce su certi particolari che mi interessano, e la cui scoperta fa parte di alcuni racimoli da me spiccati, dopo la vasta vendemmia di Luca Trevisan.
Li raccolgo di qua e di là, secondo come mi capita.

Racimolo 1
Affresco all’entrata nel campanile.
Entrando nel campanile, a destra, dentro una nicchia aperta nella parete, ecco stranamente un crocefisso affrescato. Evidentemente non si trova lì per caso in un ambiente ristrettissimo. Fa forse parte di quel bisogno di esprimere devozione, come a distanza di due metri, troviamo l’affresco raffigurante S. Francesco, nella lunetta cieca sopra il cancello di entrata nel campanile.
L’affresco si trova in luogo angusto. In quegli scarsi metri quadrati si notano molti archi: quelli a tutto sesto sopra l’entrata dalla Chiesa; quello che sembra un tentativo trilobato sopra la porta di uscita; quello con  un tentativo di acuzie della nicchia contente l’affresco. E poi una costruzione ad angolo isoscele sopra l’architrave della porta, che conduce all’ardita scalinata per ripire fino alla cella campanaria.
Però quello che mi colpisce e che per lunghi anni (fin dal millenovecerntocinquantasei!) non avevo notato, è l’affresco. Sbiadito, che pur mostra un Cristo crocifisso di bella fattura; e ancor più sbiadito nel presentare le due figure poste ai lati della croce.
All’esperto Luca Trevisan ho chiesto un giudizio sullo stile e sul tempo della stesura dell’affresco. L’autore dell’affresco mi sembra inutile ricercare. Lo stesso professore Franco Barbieri non si è espresso in proposito, pur notando che si intravvede una certa prospettiva.
Perché un richiamo alla pietà in un ambiente soffocato? Fa parte di quel desiderio, mai assopito di affrescare le pareti? Può essere stato quel locale, per qualche tempo, la celletta di un eremita o di un prigioniero (come usava nei vecchi conventi)?
Comunque l’affresco è là e mi parla.


Racimolo 2
Nel Tempio: le effigi di santi francescani.
Passeggio spesso nel Tempio, negli intervalli del mio turno di assistente alle confessioni.
Il Tempio è bello, grande anche dopo gli insulti francesi, austriaci e italiani.  Mi si presenta dinamico, come già scrissi. È dentro la mia storia, e io sono dentro la sua storia. In questa atmosfera io mi sento orgoglioso di essa, oppure umile dentro di essa?
È vero: tanta grandezza io non merito, non me la sono acquistata. Né orgoglioso, né umile (questo proprio no, purtroppo non è il mio mestiere quello dell’umiltà!). Invece mi sento in compagnia, tra miei vecchi confratelli. Nel Tempio mi accosto a quattro riproduzioni di S. Francesco, e due di S. Antonio, e una per ciascuno: S. Giuseppe da Copertino, S. Massimiliano Kolbe e S. Bernardino da Siena. Una terza tela raffigurante pure S. Antonio, dipinto dal Liberi si trova momentaneamente esiliata dal suo posto in Chiesa, perché collocata nel parlatorietto accanto alla cappella invernale, in attesa di restauro (chissà quando).
Il mio istinto mi conduce a preferire quattro effigi, che ritengo vive, parlanti, anche perché, tranne Kolbe, sono sorprese in estasi di preghiera.
Quelle di S. Francesco: Altare Pojana, Cappella di S. Francesco, quadro di Ina Barbieri, affresco sopra la porta del Campanile.
Preferisco quello più recente, vivo, nel suo esser rapito verso l’alto. Gli altri due sono fermi, quasi riprodotti per essere ricordati (come il Francesco del portale esterno), ma non trascinano nella preghiera, estatica, contemplante, come era realmente la preghiera di Francesco vivente quaggiù. Il Francesco del quadro di Ina Barbieri, è vivo, e tuttavia intento ad accogliere una figura femminile nel grembo dei poveri. Non è questo l’estatico, che mi garba ricordare qui. Questi invece è il Francesco della cappella Priorato, così assorto, così vicino.
Nel 1964, quando alla cappella Priorato feci riprendere la sua funzione originale, io trasportai la statua di Francesco collocata nel chiostro, riconoscendo nobiltà e significato alla cappella e alla statua. Prima di questa trasformazione avevo letto spesso la lapide murata in cornu evangelii della cappella stessa, che indica appunto la cappella come cappella di S. Francesco.
S. Francesco detronizzò, nel ‘64 una statua del Sacro Cuore, lignea dies
pinta di bianco, per mimetizzarla quale statua di marmo. Ma Gesù fu contento di essere detronizzato da una cappella secondaria per prendere il posto a lui spettante nella cappella principale. Qui infatti si conservò e si conserva l’Eucarestia, e ne richiama la presenza quel magnifico crocefisso, che, nel vuoto, domina l’abside della cappella.
Quel crocefisso, artistico, lo trovai quasi nascosto in altro posto, e lo feci elevare, servendomi dei tiranti, che prima avevano retto i padiglioni, i quali in diversi tempi accoglievano grandi tele della Madonna (Mese di Maggio), di S. Francesco (Novena tra Settembre e Ottobre), dell’Immacolata (Novena di Dicembre), e di s. Antonio (Tredicina di Giugno). Dove si trovano ora, se ancora si trovano? Chi l’ha fatta togliere dal ripostiglio, non me lo comunica, nonostante la mia iterata richiesta.
L’altra preghiera in estasi, è quella di S. Antonio, nella pala del Carpioni, all’altare dedicato al Santo, dove, prima della riforma liturgica, ogni martedì si celebrava una messa. L’atteggiamento di Antonio, che sta ricevendo un giglio dalle mani del Bambino Gesù, sorretto dalla Madonna, è atteggiamento estatico, e
presso bene dagli occhi quasi persi nella visione, e dalla bocca di innamorato leggermente aperta, e dalla mano appoggiata al cuore che si offre.
Bambino e giglio, sono il sunto dei momenti estatici di Antonio. Il Bambino che apparve ad Antonio nella celletta di Camposampiero. Il giglio di purezza, per la quale il bambino Fernando-Antonio, superò la tentazione, nella Cattedrale di Lisbona, tracciando un segno di croce sulla pietra. La Madonna presente nel quadro, compie la propria missione offrendo il Bambino, ma poi, con libertà, lascia che i due se “l’intendano fra di loro”. Evidentemente la curiosità di Gaetano Thiene verso l’intimità di Antonio con Gesù è fuori posto.
Non mi dice granché l’altra effigie di S. Antonio, nella statua posta all’entrata destra del Tempio, messa lì, quasi fredda, per servire alla pietà spicciola di chi entra in Chiesa, non s’accorge della presenza viva di Gesù Eucarestia, accende un lumicino e se ne va. L’unica indicazione, che mi viene da quella statua è il notare l’abbondanza del cingolo, che scende sulla sinistra, anziché sulla destra, come suole in Italia.
Un’estasi più vigorosa invece, quasi il culmine di un crescendo, è il volo di Giuseppe di Copertino, descritta dal Boscarato. È crescendo, da S. Francesco assorto, ad Antonio estatico, a Giuseppe levitato.
Questo santo volante mi ha preso. Ne ho cercato i documenti (vedi, per esempio, il volume di G. Parisciani “S. Giuseppe da Copertino” dell’editore Donare Pace e Bene di Osimo, pp. 1066, aggiornato al 2009), e ho meditato su di lui, ricavandone letizia, più penetrante che da un corso di esercizi spirituali; letizia che ho espresso in un volumino.
Mi soffermo a guardare questo santo attirato dalla Croce. Lui era attirato dalla presenza di Gesù nell’Eucaristia, che il Santo sapeva dove era collocato, anche entrando in una Chiesa completamente buia.
L’occhio rapito e la braccia allargate, così spontaneamente divaricate nei momenti di gioia intensi. Lui che aveva patito sofferenze da molti (confratelli, Inquisizione), nell’estasi sperimentava la compensazione di una gioia incontenibile, tanto incontenibile, che il corpo gli si elevava assieme con lo spirito.
Nel quadro restano a terra le altre figure. Quella maschile, perfino prostrata. La donna e il maschio ricordano due nobili, che ebbero contatto con Giuseppe a beneficio di salvezza da lui: Maria di Savoia (detta dal santo: pastorella pellegrinante) e probabilmente Juan Enriquez Cabrera, presente a un’estasi del santo. Giuseppe vola alto. La nobiltà umana giace a terra, a sottolineare il divario tra la nobiltà dello spirito e la nobiltà del lignaggio.
Perfino la chiarezza naturale resta in basso, tra le persone raffigurate. Il santo invece si trova nell’altra dimensione, quella estatica, e la sua faccia è circondata solamente da un tenue alone. Egli ha abbandonato le dimensioni quotidiane.

L’altro santo, che mi circonda e mi chiama (ovviamente dopo il richiamo dell’Eucarestia) quando mi trovo in Chiesa, è San Massimiliano Kolbe. Egli pure è estatico, se estasi significa uscire da sé. Nereo Quagliato ha fatto fondere la statua del Kolbe nel gesto di “prendete me e lasciate libero quel padre di famiglia”. Si esce da sé sia nel perdersi nell’estasi di Dio, sia nell’offrirsi al prossimo. Gesù visse le due estasi: preghiera e offerta. La scultura del Quagliato fu a ricordo delle persone rinchiuse nei campi di concentramento, come era stato quel Garbossa già in campo di prigionia tedesco, che volle ricordare Kolbe a sua volta morto in un lager sia sporizzando quella statua sia battezzando un figlio con il nome di Massimiliano.
Se le effigi dei miei confratelli, Francesco, Antonio, Giuseppe, sono dichiarazioni visive di amore a Dio, Kolbe è ricordo visivo di amore al prossimo. I miei confratelli stampano visualmente le due facce dell’amore: Dio e l’uomo.

Racimolo 3
Le acquasantiere.
Nel Tempio troviamo cinque acquasantiere. Una sesta era murata anche in convento, al piede delle scale. Ma ora l’hanno tolta, forse per un non corretto intendimento delle tradizioni conventuali.
Le acquasantiere sono collocate presso le entrate in Chiesa. Mancano però di acquasantiere due entrate secondarie: quella che entra dal chiostro e quella che entra dal retro abside.
Le acquasantiere di modesta fattura, e probabilmente fornite dopo il rientro dei frati nel secolo scorso, si trovano presso l’entrata minore dal Corso Fogazzaro, e presso l’entrata dalla sacrestia.

                             

Due acquasantiere, già di fattura attenta, si trovano a ridosso delle due colonne vicine all’entrata da Piazza S. Lorenzo. Una di nobile forma si erge nei pressi dell’entrata maggiore di Corso Fogazzaro, accanto a una colonna.
Le due acquasantiere presso l’ingresso principale della Chiesa, sono state posate nel 1940. Dentro il contenitore della pila è scolpita la data, corredata indelebilmente anche dall’anno dell’era fascista. È a forma di conchiglia a ricordo della poesia di Giacomo Zanella, il quale vanta un monumento anche in Piazza S. Lorenzo, il monumento funebre nel Tempio, ove il 18 Giugno 1928 la salma fu trasportata dal cimitero, la titolazione del gruppo culturale sorto a S, Lorenzo nel 1946, per opera dei Padri Piero Sossella e Fiorenzo Crivellari nella sala del Piccolo Ateneo Zanelliano, dove fu donato un busto di marmo del poeta, busto ora nel chiostro del convento.
La dicitura scolpita nelle due acquasantiere suona: “A Giacomo Zanella, cantore della conchiglia fossile, nel cinquantesimo dalla sua morte. F. 1939 – XVII”. Forse l’apposizione di quella data destò sospetto e il Vescovo chiese spiegazioni al convento, tanto che nel Capitolo Conventuale del 10.04.40, si legge. “Si compilò inoltre la risposta da inviare a Mons. Fanton, da trasmettere a S.
Ecc. il Vescovo diocesano, riguardo alla questione delle nuove pille [sic!] della Chiesa”. Ricordiamo che il Vescovo era Mons. Rodolfi.
Riporto (anche perché uno storico me lo ha richiesto), la lettera, che dalla curia vescovile, l’allora cancelliere, Carlo Fanton, spedì al Reverendissimo Padre Rettore del Tempio di S. Lorenzo – Città.
“È stato segnalato a Monsignor Vescovo che in cotesto Tempio furono poste due pile-acquasantiere recanti una dedica al poeta Zanella.
Sua Ecc. mi ha dato l’incarico di esprimere la sua sorpresa, specie per l’apposizione di una iscrizione che non risulta approvata dall’Ordinario, anzi neppure a lui previamente sottoposta.
Non dubita si tratti di una svista. Ma desidera gli siano fornite le spiegazioni del caso.
M’ha dato pertanto l’incarico di pregarLa a volergliele inviare.
Con il più profondo ossequio. Devmo Carlo Fanton”.
Risposta:

“Furono messe le pile perché volute dalla liturgia e reclamate dalla gente. Furono dedicate al sac. Zanella per ricordare la sua memoria, le cui ceneri riposano nel nostro tempio. 5.III. 40. P. C. Biasi”.
Per alimentare il nostro sorriso, trovo nell’archivio, che accanto alla lettera di Mons. Fanton, si trova una lettera firmata dal Vescovo Ferdinando, nella quale è scritto: “Segnalo la sconvenienza che un gruppo di ragazze continui a prestare il servizio regolare di canto in cotesto tempio. Se l’abuso... ecc.”.
Beati i tempi del maschilismo!
Certo che le nuove pile erano di fattura inferiore a quelle che sono riprodotte in un disegno ottocentesco dell’interno di S. Lorenzo. Che se l’eventuale osservazione riguardava la scomparsa delle pile ottocentesche, tale osservazione era ben azzeccata. Che si voleva cambiare le pile, lo si può desumere anche da un abbozzo di pila, non datato, conservato nell’archivio del convento, ma mai realizzato.
In una lettera dell’ingegnere Umberto Contardo, che aveva curato la traslazione del nuovo altare maggiore da Venezia a Vicenza, come già scrissi in altra occasione, leggo un poscritto: “Nella prossima settimana le invierò i disegni pile acquasanta”. Forse è l’abbozzo di pila trovato in archivio, ma che porta la firma, se è autentica, di Mastellotto!
Il confronto tra le due pile mi destò curiosità e mi infilai nell’archivio del Convento,  per  vedere il faldone riguardante il guardiano del tempo, P. Celestino Biasi. C’è una cartella titolata “acquasantieri” [sic], ma è vuota. Una delusione; poi cercai ancora e, confesso, mi divertii.
Ecco una lettera scritta il 15.02.1940 – XVIII.
Da Venezia, Soprintendenza ai Monumenti medioevali e moderni del Veneto Orientale (Prot. 284).
“Questo ufficio ha notizia dell’avvenuta sostituzione delle due pile per l’acquasanta con due pile nuove in forma di conchiglia decorate da alghe e fossili; ciò, pare, per ricordare una celebre poesia di Giacomo Zanella, del quale ricorreva testé il cinquantenario dalla morte.
Duole di dover dichiarare che tale sostituzione, avvenuta all’insaputa di questo Ufficio, non può essere, nonché approvata, neppure tollerata.
“Si attende dalla V. Rev.ma un cenno di assicurazione in proposito. – Il soprintendente Forlati.
“PS: è inteso che le vecchie acquasantiere dovranno essere rimesse al loro posto quanto più sollecitamente possibile.”
Contemporaneamente arriva allo stesso P. C. Biasi la seguente lettera:
“Pola, 15.2.40
... godo che le pile siano a posto e bene. Mi scrivono da Vicenza che piacciono molto e sono indovinatissime.  -  P. Benedetto Peroni”
E poi una lettera senza data, indirizzata al P. Biasi:
“... Mi dispiace che il comm. Forlati t’imponga di rimuovere le pile. Io però non lo farei mai e poi mai. Di’ a Forlati che tolga prima l’altare di S. Antonio, fatto da lui a Pola, che è uno sconcio e una vergogna, e poi toglieremo le pile. – Ha un bel dire quel signore; togliete le pile! Ma io non le toccherei manco per sogno. – Giacché è tanto irragionevole, sii duro e non cedere. Quanto a me, cosa vuoi ti faccia? Se non ha avuto neanche l’educazione di rispondere, non posso insistere con lui ...”
Le lettera continua con stile ardente a parlar male del P. Radossi (che poco tempo dopo sarebbe stato eletto vescovo proprio di Pola e Parenzo), e a esprimere rammarico per la propria condizione di “esiliato” a Pola. E poi:
“una sola cosa ti raccomando: tieni duro e non aver paura. Se proprio ti mettesse alle strette, digli che se le levi lui, che tu non farai mai ... – Aff.mo Padre Peroni”.
Ma ecco il dietro front:
“Pola, 22.2.1940
Ho letto la tua lettera e la famosa lettera di Forlati. – È un affare un po’ serio. La colpa è nostra, perché si doveva metterci d’accordo con lui direttamente, col Prof. Fasolo del Civico Museo. Io veramente non ho neanche pensato, e per questo non te ne ho parlato. Ad ogni modo, ora bisogna correre ai ripari. – Ho scritto al Comm. Forlati scongiurandolo a venire a miti consigli. Gli ho fatto presenti le vostre difficoltà e l’ho pregato a mitigare l’ordine dato, cercando una via di accomodamento. Speriamo non sia irragionevole e non voglia puntare sul serio. Se ti ordinasse di rimettere a posto l’antica, non ti opporre, purché permetta le altre due. Informami e credimi tuo – aff.mo P. Peroni.
NB. Rileggendo la lettera del Soprintendente, mi pare la cosa non sia seria. – Egli vuole sia rimessa a posto la vecchia pila: cosa che si potrebbe fare, mettendo la nuova alla porta laterale. Non mi pare esiga altro.”
Purtroppo le belle pile antiche, se dobbiamo credere al Pividor, erano già state sostituite da altro. E l’ideatore delle nuove pile fu
il P. Peroni, guardiano precedente il P. Celestino Biasi.
L’altra, e forse più interessante, acquasantiera è quella correlata all’entrata maggiore dal Corso Fogazzaro, dopo la sostituzione dell’altare a S. Luigi Gonzaga. Lo stile è classico, con il bordo superiore recante una scritta, che richiama il motivo per cui, entrando in Chiesa, è necessaria una purificazione, che segnerebbe il passaggio dal profano al sacro.
La scritta recita così: “Per hujus acquae tactus, fugiant omnes demonum actus”: grazie ai contatti con quest’acqua, fuggano tutte le opera dei diavoli.
Che sia questa una delle vecchie pile? Difficilmente.
Scrissi: “difficilmente” durante la prima ricerca, e invece ecco qui alcuni tratti di quanto fu scritto nel giornale locale il 10 Gennaio 1940 (le pile erano state erette il giorno 8 dello stesso mese).
“Il pensiero devotamente memore e civicamente fiero di ricordare il cinquantesimo dalla morte del sacerdote e poeta illustre concittadino, Giacomo Zanella, con un segno  perenne di onore nel nostro bel San Lorenzo – dove le sue ceneri attendono lo squillo della risurrezione – è, da mercoledì realtà magnifica. Magnifica e squisitamente improntata a senso religioso insieme e poetico ... Sono due acquasantiere marmoree scolpite vagamente a disegno di conchiglia e collocate all’altezza di quella – ora rimossa e posta di fianco alla porta nuova del Tempio a levante – che ha forma semplice di conca ...Le nuove acquasantiere si offrono quindi anche per agevolare il tocco devoto e indulgenziato dell’acqua benedetta da ambo i lati e non da uno solo.”
Ecco svelato ogni mistero. Dallo stesso articolo sappiamo anche sia del trasferimento della vecchia pila nella stessa Chiesa, sia anche che “P. Peroni ... concepì l’idea dell’omaggio e ne tracciò il genialissimo disegno, tradotto in opera, colla nota e lodata perizia, da Gino Cavallini di Pove”.
E così, visto non solo da sinistra ma anche da destra, è tagliata la testa al toro.

Racimolo 4
Nel 1950 avvenne la permuta tra la pala di S. Luigi e quella di S. Giuseppe da Copertino. Ossia tra la Chiesa di S. Maria in Foro (Servi) e S. Lorenzo, cosicché S. Lorenzo poté riavere il quadro dell’antico confratello. Ne accennai già nel volumino sugli 80 anni dal ritorno dei Conventuali in S. Lorenzo.
Per sapere dove si trovasse il quadro di S. Luigi (che era stato
pala dell’altare del Santo, prima del disfacimento del 1936, allo scopo di riaprire la porta che esce in Corso Fogazzaro, telefonai a uno dei due frati del tempo ancora in vita, frate che aveva anche steso il Verbale del Capitolo  Conventuale, attinente alla permuta. Ma la persona dichiarò di avere la memoria alquanto rarefatta. Mi rivolsi al Verbale dei capitoli Conventuali, e in data 27 Giugno 1950 trovai scritto: “fare un cambio del nostro grande quadro di S. Luigi (attualmente nel corridoio del convento e nel tempo passato in quello che fu l’altare del Santo) con un quadro di S. Giuseppe da Copertino, sito nella Chiesa dei Servi”. Certo che la Chiesa dei Servi si arricchì dei quadri salvati dai nostri frati, sottraendoli alla barbarie dei napoleonici. Ci spetterebbero di diritto, ma ...
Non contento, cercai di telefonare all’altro religioso, di famiglia allora a S. Lorenzo, con l’inconfessata speranza di sapere se ricordava, per caso, se assieme con il quadro di S. Luigi si trovasse anche la tela del Maganza riproducente S. Lorenzo.
La risposta fu che non ricordava nulla.
Un ultimo tentativo: telefono al P. Maurizio Stedile, già guardiano a S. Lorenzo, per conoscere da lui a chi erano stati passati mobili e tele (!), raccolti nell’ambiente sud del corridoio a pianterreno, che lui volle trasformare da magazzino a locale per l’accoglienza  dell’allargamento della biblioteca, dopo il copioso lascito dei libri del P. Francesco Tamburo. La risposta, fino a oggi (15.10.12) non mi è ancora pervenuta.
Attinenza con i quadri, credo abbia anche il fatto che nel 1936 si stava per decidere di costruire due altari nelle due campate all’inizio della Chiesa. Copio dal Verbale dei Capitoli Conventuali:
“Si è pure deciso a pieni voti di far fare una statua di S. Luigi in legno su disegno da approvarsi da un artista di Schio, da collocarsi sul nuovo altare del Redentore, in sostituzione all’attuale palla (sic!) di S. Luigi, la quale dovendosi fare la nuova porta laterale verrà tolta perché non confacente allo stile della Chiesa”.


Racimolo 5
L’altare maggiore.
Premetto: questa parte l’ho aggiustata grazie alla collaborazione di Giuliana Bertola: questa parte è stata costruita a quattro mani.
Scrissi a lungo sulla trasformazione dell’altare della cappella principale.
Si accenna in una didascalia nel magistrale volume di Luca Trevisan, alla probabile data della rimozione delle tre statue settecentesche dall’altare maggiore al chiostro, dove oggi si trovano.

  Quella data coinciderebbe con la posizione del nuovo altare maggiore, appunto nel 1938.Tale data mi lasciò molto perplesso. E cominciò la mia ricerca, che ora descrivo  nelle diverse fasi.
Nella mia conferenza su quell’altare, spulciando i diversi documenti di archivio, non ho trovato alcun cenno a dette statue.

La foto Alinari di probabile fine ‘800 ci mostra l’altare con le tre statue, e, cosa notevole, le balaustre con colonnine. Però a un  occhio vigile davanti alle tre statue si vede chiaramente l’altare con il tronetto; il vertice del tronetto è sormontato da un ostensorio sostenuto da due avambracci, a quanto mi sembrava di scorgere vagamente. Nella foto si vedono ancora le due entrate nel coro, le pareti della cappella maggiore senza i monumenti funebri. Insomma i risultati del restauro del 1836. Da sottolineare che si vedono ergere chiare le tre statue: la Madonna Assunta, S. Francesco e S. Lorenzo.
Nei documenti, da me riprodotti in altra sede, i quali trattano del rifacimento dell’altare nel 1938, troviamo scritto:
a)- Lettera del P. Provinciale, Vittore Chialina, datata 01.06’1938: “Non ci dispiaceva l’altare di S. Lorenzo con suo bel crocifisso in mezzo spoglio di altri ornamenti”.
Si parla di altare spoglio. Si sa che il P. Chialina aveva visitato la Chiesa prima della cessione ai frati nel 1927. Quel “ci dispiaceva” si riferisce a  un passato recente o un po’ lontano?
In un articolo del giornale locale, pubblicato dopo il 18.09.938, si nota  che l’altare nuovo “riempie degnamente il vuoto dell’abside”. Evidentemente non era vuoto recente.
b)- Vorrei notare che l’incisione ottocentesca del Tempio di S. Lorenzo (dovuto al Pividor: Pividor dis. è scritto in calce) mostra statue non ben identificabili, ma certamente non corrispondenti esattamente alle tre statue ora esposte nel chiostro.
c)- I lavori per il nuovo altare si iniziano il 29 Agosto 1938.
Nella pergamena murata dentro lo stesso altare (datata 14.09.38) si legge: “Al principio dell’anno in corso ... l’altare mancante di maestoso trono per esporre...”. Da ciò si potrebbe desumere che l’altare fosse libero anche dal trono fotografato da Alinari.
Nella stessa foto Alinari, già ricordata, si vedono le tre statue dietro i candelieri. L’abate Magrini, che scrisse nel 1839 e che tenne un discorso alla riapertura del Tempio, nota che nel 1731-32 le statue erano poste a ridosso della parete. Forse all’inizio anni 1730 il convento progettava grandi rifacimenti della Chiesa. Troviamo una lettera del convento alla confraternita dell’Immacolata e di S. Bernardino del 1736: “Hora essendo incominciato il ristauro e l’abbellimento di tutta detta Chiesa ...”. perciò tolto il polittico della Dormitio Mariae, si volle ancora una volta ricordare l’assunzione di Maria, facendo scolpire la statua dell’Assunta (nome che troviamo in un documento del 1854).
In tutti i documenti da me visitati e citati nella mia conferenza su “L’altare maggiore” non c’è un solo cenno alle tre statue. Probabilmente non c’erano più. E difatti ...
d)- Nel 1933, quindi già prima del 1938, fu rivisitato dietro l’altare un corpo sonoro e la consolle del nuovo organo, che comandava a tutti e due corpi sonori, quello nuovo sopra l’ingresso in sacrestia, e quello nell’abside, per il quale leggiamo nel verbale dei Capitoli Conventuali del 23 Gennaio 1933: “Tale organo [cioè del Mascioni] deve riuscire a tre tastiere con 29 registri reali da porsi sopra il portale della sacrestia, dove con il permesso avuto in iscritto dalla Regia Sopraintendenza alle belle arti di Venezia, verrà praticato un foro ad arco; avrà ancora altri sette registri reali da porsi in coro per sostenere il canto”.  Si può dedurre che allora la parte positiva dell’organo, da suonarsi con la terza tastiera, già occupasse l’attuale posizione e che quindi non c’erano le statue, o al massimo, che perfino in quel periodo fossero state levate. Comunque il posto occupato dal corpo sonoro dell’organo è addossato alla parete, e sotto il somiere delle canne si apre una cava per il motore e per altre parti dello stesso positivo. Addossato alla parete quindi doveva necessariamente occupare lo stesso posto delle tre statue pure addossate alla parete, come abbiamo letto nel Magrini.
e)- Può aiutarci anche quanto si legge nel Capitolo Conventuale  del 31 Agosto 1933:
“5. Fu pure stabilito che gli stalli piccoli del coro di S. Lucia abbiano ad essere restaurati e con nuova spalliera, applicati nella cappella della Madonna.
6. Fu deciso che in presbiterio abbiano ad essere applicati, dopo conveniente riparazione gli stalli del coro di S. Catarina rimasti da quelli di già applicati all’abside nel giugno dell’anno precedente”. Gli stalli quindi erano posti nella posizione nella quale si trovano tuttora, e quindi addossati alle pareti, che evidentemente non erano più occupate dalle tre statue di cui parliamo.
Quindi il vuoto dell’abside non era vuoto recente, ma un vuoto notato da tempo. Perciò la trasposizione delle statue, della quale non si fa cenno nei documenti da me citati, forse era stata compiuta prima. Ma quando? Mi era difficile dirlo ora con sicurezza. Comunque prima dei Giugno ’33 e non in concomitanze dei lavori per il nuovo altare.
Forse può essere suggestivo che nella foto Alinari, alla quale mi sono riferito, il monumento Porto è ancora situato addosso alla parete occidentale della Chiesa. Mi veniva spontaneo chiedermi se, quando la cappella principale fu rimessa all’antico trasportandovi colà i monumenti Porto, contestualmente si sia anche intervenuti sull’altare e sul trittico di cui parliamo? E allora qualche indicazione ulteriore ci potrebbe arrivare dalla relazione tecnica dei restauri del 1904-14., non facilmente reperibile.
 Ma ecco altri tasselli illuminanti.
Nel libro del De Mori, pubblicato un anno dopo il ritorno dei frati conventuali, cioè nel 1928, a pagina 34 è riprodotto l’altare maggiore privo evidentemente delle tre statue.
In Italia sacra (1930) dove Francesco Calì descrive San Lorenzo, sono riprodotte alcune interessanti foto.
La prima è la riproduzione della foto Alinari, a noi nota, con didascalia “Interno prima degli ultimi restauri”
Un’altra foto presenta la didascalia “Interno dopo gli ultimi restauri”
Una terza è un primo piano del presbiterio, s’intende dopo i restauri.

  In queste ultime due foto chiarissimamente l’altare è spoglio, c’è solo un crocefisso, (che non si vede bene: ma ora so che era lo stesso dell’attuale sospeso, che ivi ricollocai io negli anni 60)
Supponendo, ma è abbastanza ovvio,  che gli ultimi restauri siano quelli del 1904-1914 è facile pensare che le tre statue siano state tolte in quell’occasione oppure durante il periodo trascorso tra la prima e la seconda delle due foto citate dal Calì.
Comunque nel 1930 le statue non ci sono (v. foto).

Nel 1914 Rumor non le segnala.
Sarebbe da leggere la relazione sui restauri dell’ing. Vittorio Saccardo  “Sistemazione definitiva e finimenti dell’interno”. Relazione presentata alla on. Giunta Municipale di Vicenza il 18 settembre 1914” cui certamente Luca si è rifatto per il suo intervento pubblicato sul Santo.
Ma il Saccardo non ne parla, allora le statue furono state rimosse ancora prima… a meno che nel contesto di lavori strutturali molto impegnativi le statue fossero un fatto piuttosto marginale.
Insomma. Per ora non abbiamo trovato la data precisa del trasporto del trittico scultoreo, ma certamente non fu trasferito nel 1938.

Racimolo 6
La porta che dal chiostro immette in Chiesa fu murata, e tale è stata trovata dal frati al loro ritorno. Il transetto acquista la fisionomia presente solo nel 1932.
Nel Capitolo Conventuale del 29 Luglio di quell’anno si legge: “Vista l’utilità dell’apertura che dalla Chiesa dà al Chiostro ed avuto il parere favorevole del capotecnico del Municipio Ing. Dondi dell’Orologio prima e poi dell’Ing. Antonio Marconi e l’approvazione della R. Sovraintendenza di Venezia a ½ del Comm. Forlatti, si approva a pieni voti”.


Racimolo 7
Il Cristo deposto dalla Croce e collocato, bellamente, davanti all’affresco del probabile maestro di Velo d’Astico, è opera di Luigi
Strazzabosco. Credo sia interessante notare, che già nel 1939, si era offerto a scolpire un Cristo morto, il Professor Gildo Danieli, orafo-scultore vicentino, che scriveva da Milano al Rettore della Basilica di S. Lorenzo Vicenza. In uno dei tre scritti, che ci restano di lui, troviamo: “Come io per dono Suo [di Dio] essendo artista vicentino, votassi, dopo aver fatto tanti lavori profani, uno in sua laude e esaltazione del Suo unigenito Figlio, vero Dio e vero uomo, il Cristo MORTO. Il voto con l’aiuto di Dio sarà compiuto. Ora parlare del collocamento è cosa molto prematura. L’importante è assicurarvi che sono più che mai deciso di compiere l’opera. Dopo le supreme autorità ne decideranno il collocamento. 14.05.’939- XVII°”.
Poi scoppiò la guerra e solo nel 1951 l’idea venne ripresa dal dinamico P. Peroni.

  Nel capitolo conventuale del Giugno-Luglio del 51 [beata la precisione della data!] è notato che “Lo stesso P. Guardiano sottopone all’approvazione del Capitolo il progetto di un Cristo morto in terracotta da far eseguire a valente artista e da collocarsi poi nella nicchia già esistente nella parete destra della nostra Chiesa”
Quel “da eseguire” indica che all’inizio si intendeva un lavoro nuovo adeguato alla “nicchia”. Poi invece si cambiò idea: ed ecco il Cristo dello Strazzabosco.

 



Racimolo 8
Mi piace ricordare ciò che era già stato notato dai Proff. Cevese e Barbieri nel loro “Vicenza”. Nella cappella della Madonna, sulla parete di destra si apre un piccolo tabernacolo. La fattura è fine, quasi gioiosa. È in pietra, la decorazione della colonnina richiama la decorazione delle colonne della cappella Pojana. Il modo e lo stile accusano evidentemente la datazione a fine Quattrocento.
Quando giunsi la prima volta a Vicenza, osservai che ivi si ponevano gli oli santi. Forse in passato anche recente, quando l’Eucarestia era conservata in cappelle secondarie, stimavo non improbabile che lì si collocasse l’Eucarestia, perché la composizione  della Madonna con i Santi Paolo e Pietro non potevano sopportare un tabernacolo. Perciò mi sembrava giustificata la finezza del manufatto. Questa era una mia supposizione. Ma la conferma la ritrovo proprio nel Magrini, il quale nota che la cappella dopo l’altare Maggiore verso occidente, era indicata come cappella “detta del Sacramento”
Un rientro nella parete si trova dietro gli stalli della Cappella della Madonna e nascosto da una porticina. Esso serviva per la collocazione delle ampolline o di altro, dopo l’uso liturgico o durante la messa. Analogo rientro nella parete troviamo nella cappella di S. Francesco. Ma la fattura di quest’ultimo oggi è povera e l’interno buio. Però sembra risalire ai tempi primitivi, se osserviamo l’arco acuto che sovrasta anche al presente il rientro stesso. A che cosa inizialmente potesse servire non può sembrare evidente, sebbene la larghezza e l’altezza dell’incavo possano indicare un uso non ristretto. L’uso però si può intuire, perché nel pavimento delle nicchia, liberato da recenti strutture di legno rivestito, si nota un piccolo invaso con un foro per lo sfogo di liquidi. Ricordo ancora che, quando celebravo la messa all’allora altare del Santissimo, dopo il lavabo della messa, l’acqua era versata appunto in quel foro. Lo feci anch’io parecchie volte. Altre ipotesi mi sembrano non reggere.
Inoltre, quando la messa quotidiana era celebrata in questa cappella dedicata al Santissimo, là si deponevano le ampolline o altri oggetti a servizio dell’altare.

Racimolo 9
Per quanto attiene al portale principale di ingresso, in connessione con la ripulitura operata nel 1989, fu pubblicato un volumino (copie numerate) a cura della comunità, con l’azione specifica del P. Ludovico Bertazzo. In esso si richiamava la storia del portale e gli interventi tecnici della ripulitura-restauro.

Racimolo 10
Quel S. Sebastiano doppiamente torturato. Il trittico, che si trova
nel retro facciata fu trasferito prima e poi disprezzato con l’inserire nei fori delle lippe di legno.


Io chiesi alla comunità di estrarre quelle schegge. Risposta: “È  sempre stato così!”. Memoria corta?
Eppure  quando io scrissi e riscrissi le penose guide di S. Lorenzo (ultima nel 1977), le riproduzioni del tritico ivi pubblicato, mostravano solamente i fori, non quegli inverecondi e umilianti sprocchi, conficcati maldestramente nei fori. La comunità si degnerà di levarli?
Ho scritto “penose guide”. Infatti sono corredate da graziose inesattezze. Io le scrissi, perché furono esaurite le guide precedenti, che io semplicemente tradussi in italiano leggibile. Però non vedo che la guida successiva alle mie, imposta nell’anno del giubileo. sia molto più lucente. Si potrebbe ora stampare una nuova guida, riproducendo la guida, scritta da Giuliana Bertola e pubblicata nel sito: sanlorenzosperi.org. E lo sponsorizzatore?

Racimolo 11
Il dipinto di Ina Barbieri, sovrastante le porta di entrata alla sacrestia, anche nell’ultimo libro di Trevisan è titolato quale “Vocazione di Santa Chiara”. In una copia della mia guidina del ’77 esitai nello scrivere di quel dipinto, perché non mi convinceva quel titolo.
Per caso, aprendo una delle mie soprannominate guide, ancora esistenti, vi trovai dentro questa lettera autografa.
“Vicenza 14.06.88
Revmo Padre Superiore, come siamo stati d’accordo, ieri, Le mando il titolo della pittura eseguita da me molti anni fa, per l’arco sopra il portale della sacrestia.
È “L’Istituzione del Terz’Ordine Francescano” e non è certo S. Chiara, com’è scritto nella guida.
Spero che ci sia possibilità di rimediare in qualche modo.
La saluto distintamente e La ringrazio.
Ina Barbieri   -   Ina Barbieri, Viale Milano 37, VI”.
Due parole mie:
!°- La guida cui si riferisce la pittrice non l’ho composta io.
2°- Finalmente oggi è giunta l’ora di rimediare, e la pittrice potrà riposare in pace.

Racimolo 12
È noto che all’apertura del Tempio di S. Lorenzo nel 1839, il culto fu assunto dalla confraternita dei Rossi. Però già dal 1822 la stessa confraternita era stata contattata dal Comune di Vicenza, perché assumesse l’incarico di far officiare le stessa Chiesa. È interessante seguire lo sviluppo di quelle contrattazioni tra Comune e Confraternita, per comprendere l’avvicendarsi delle trattative e poi il lungo periodo di silenzio, che ne seguì, prima del 1839. Però, essendo la documentazione abbondante, rimandiamo ad altra occasione l’esposizione di tali trattative.
Altri racimoli, spero, di poter continuare a spiluccare in seguito.

Ottobre 2012