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ML

25.06.12

Padre Celso,

che gioia, vedere la parola "debolezza" in un sito web religioso! libera da ogni timore, mette in ombra finalmente la parola "fragilità" (cugina nobile, un pochino abusata e anoressica, ma tanto perbene).

La debolezza di cui lei parla, mi fa pensare soprattutto ad una perdita incolpevole: malattia, vecchiaia, trauma, ogni brusco calo di energia che sorprende i "forti"; e tanto più rischia di spezzarli, quanto più la loro forza è cresciuta impegnando la volontà.

Un crollo che sconvolge, ma la fede può farne la roccia su cui costruire, lei dice indicando la luce del Vangelo. E’ la scoperta di un tesoro, una svolta essenziale verso la gioia di essere ancora vivi. Come effetto collaterale, poi, si ripulisce l’idea di "forza" da tutte le adulterazioni e i bassi miti contemporanei: anche di questo c’è tanto bisogno.

Però, io incontro difficoltà a portare in questo discorso un altro tipo di debolezza: quella di chi, a suo tempo, non ha saputo (o anche: non ha voluto) costruirsi forte.

Chi non sta in piedi da solo, i gregari, i paurosi, i suggestionabili, i pigri. Gli stupidi. Che magari accolgono il limite della malattia e della vecchiaia con segreto sollievo, perchè rende "oggettiva" una fatica di vivere fino ad allora disprezzata proprio in quanto segno di debolezza.

A loro viene incontro una certa forma di religiosità, che vede nella malattia un valore comunque assoluto, ed offre la svolta verso un tetro godimento della vita residua ( ne sanno qualcosa alcune badanti o figlie diligenti, vessate a forza di Avemarie "per i poveri peccatori").

Ma non c’è nulla di meglio, anche per questi "deboli-deboli"?

Grazie, e, la prego, continui!

ML