Pianto sul Catechismo

Sto leggendo il “Catechismo della Chiesa cattolica” (ed. 1992). È, praticamente, la Summa Tomistica tradotta in italiano. Lo stesso modo di procedere. Le stesse argomentazioni, le stesse aporie mentali.

Lo scoppio di vita, causato e deflagrato dalla Risurrezione, è presentato all’interno di uno dei molti paragrafi “logici”. Non è posto all’inizio, dal quale poi tutto procede.

Non è un catechismo cristico. È invece la raccolta di quanto si è detto e pensato nei venti secoli di chiesa da parte dei pensatori e dei pastori. Tutte cose belle e, spesso, sante, ma sembra che dimentichino la fonte reale della loro validità. Un catechismo, dove i ragionamenti, pur necessari, prevalgono sulla fede, sull’esperienza viva di Cristo morto e risorto.

Per esempio, sembra che il tuffo filosofico esperienziale, donato dalle correnti esistenzialistiche sia stato dimenticato. E così noi, che viviamo di esistenzialismo, che lo sentiamo penetrato nelle ossa (basti costatare quanto il neo-realismo cinematografico ci abbia scosso e avvinto!), noi siamo esclusi dal catechismo. Esso non è per noi. Serve soltanto perché noi si sappia, se ci interessa, come la pensano “loro”.

La “Gaudiun et spes” ci aveva fatto sperare, perché era una porta che si apriva all’esperienza concreta. Il Catechismo presente sì e no assicura la nostra mente.

Non raggiunge il nostro cuore. Sicuramente il catechismo è scritto per la mente, più che per il cuore. Ma Gesù (ecco la cristicità!) è venuto per l’uomo, per il povero, per la salvezza, per l’amore. Il suo è un “messaggio”, non sistema dottrinario. Non è venuto a portare nuove teorie, ma nuovi impulsi – anche intellettivi – per amare e per sperare.

Anche come teorizzazione il Catechismo è lontano da noi. La sua base è il metafisicismo scolastico, pur importante in sé. La sua base è un “sistema” di pensiero. Sistema ammirevole, che per secoli è stato il fuoco vivo del pensare umano. Ma non è più il nostro modo di pensare.

Ci spingono a passare attraverso la filosofia scolastica per arrivare alla Rivelazione. Questa pretesa ricorda da molto vicino i giudaizzanti del periodo apostolico. Allora – così pretendevano – non si poteva diventare cristiani, se non passando prima attraverso la circoncisione. Oggi – secondo l’impostazione del Catechismo – non si arriva alla Rivelazione (ossia a Gesù morto e Risorto!), se non attraverso i “preambula fidei”, ossia attraverso le premesse della fede, che – vedi caso! – sono espresse con la filosofia scolastica o criptoscolastica.

Spero che il Catechismo non si presti a svolgere la stessa funzione dei giudaizzanti, e che non attenda un nuovo Paolo di Tarso per smascherare l’anticristicità del catechismo.

La “dottrina cristiana” dovrebbe essere meno dottrina e più vita.
E allora, quale la strada? Strada, non scena dottrinale. Strada per la salvezza, non corpo di idee per l’appagamento della curiosità intellettuale.

Che cosa fecero i nostri antenati, alle radici del cristianesimo e della nostra fede? – credettero con tutto se stessi a Cristo-via.

Se il cristianesimo non prende l’avvio da Cristo, può anche essere una bella religione, un corpo compatto di gerarchi e sudditi, un monumento di dottrine …, ma perde se stesso. Non è più cristiano, neppure quando “parla” di Cristo.

Partire da Gesù, restare in Gesù lungo tutta le via. In Gesù trovarci nel Padre e trovarci nel mondo.

Nel mondo di oggi. Poiché nell’oggi il Signore ci salva.

Concludendo mi chiedo: il Catechismo non è, quindi, valido? Non nego la sua validità, ma sono dispiaciuto per la sua incompletezza e per il suo “disorientamento”, perché incompletezza e disorientamento mantengono il catechismo lontano da noi, oggi.
GCM 08.04.99