L’inserimento

Cara ascoltatrice, caro ascoltatore,
oggi è molto sentito il tema dell’inserimento. Inserimento delle persone in una scuola, in un gruppo, in un lavoro.

Inserimento in una famiglia o in una comunità. Inserimento degli stranieri in un comune o in una nazione.

Spesso però questi inserimenti provocano disarticolazioni, malesseri, rifiuti, aggressività. Sembra che le parti non combacino, che l’elemento che tenta di inserirsi non si armonizzi o non si adegui all’ambiente dentro il quale intende entrare.

Anche l’inserimento è un’arte, è qualche cosa di operativo e di concreto, cioè si fa. E deve trovare giusto accordo, cioè armonia, con tutte le altre parti.

Gli elementi che concorrono ad attuare quest’arte sono molti.
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Ieri sera guardavo una persona, che faceva combaciare i tasselli di un puzzle. Era piacevole per me costatare come gioiva per i risultati che, passo passo, otteneva. Poi, siccome urgeva completare la composizione, data l’ora tarda, collaborai a terminare la composizione, partecipando al piacere di quella persona.

Ogni tessera doveva essere inserita nel posto prestabilito, per concorrere all’armonia del tutto.

Quindi era un inserimento, ma purtroppo solo meccanico. Non era un’arte, bensì una tecnica, anche intelligente.

Purtroppo certi inserimenti nella comunità religiose, sono trattati come un puzzle. In una comunità, per esempio, necessitano cinque individui, che occupino cinque posti già prestabiliti dall’autorità o dalle leggi, e si dà per scontato che quei cinque individui siano già ritagliati per occupare i cinque posti. Il periodo cosiddetto di formazione, non serve a far crescere la persona nella sua mirabile unicità, bensì a mettere la persona dentro uno stampo – appunto una forma – e togliere ciò che eccede o riempire ciò che manca.
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L’inserimento nei gruppi umani – anche la famiglia è un gruppo umano, anche una comunità religiosa o un ufficio o la redazione di una radio sono gruppi umani – comporta una dinamica differente. Individualizzata.

Prima di tutto bisogno che ci sia un desiderio di appartenenza in chi chiede di entrare in un gruppo. Le azioni umane si sviluppano dal desiderio, come un fiume si sviluppa dalla fonte, che esprime una potenza sotterranea.

Senza desiderio abbiamo ammassamenti, non gruppi. È sotto gli occhi di tutti la demolizione della persona, causata dal servizio militare forzato.
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L’analisi della qualità del desiderio, rivela quale coesione con il gruppo svilupperà la persona. Per esempio, io posso desiderare di entrare in una comunità religiosa per svariati motivi: alcuni sono coscienti e dichiarati, altri sono coscienti ma celati, altri ancora sono inconsci senza alcuna disposizione a scoprirli e altri sono inconsci, ma depistati per essere svelati.

I motivi per entrare in una comunità religiosa sono personali. Ognuno entra secondo gli impulsi della propria storia e del proprio vissuto.

Campare, sbarcare il lunario, sfuggire un lavoro pesante, scaricarsi di responsabilità tramite l’obbedienza, incapacità di affrontare la vita da soli, o la vita di coppia, pretendere di aver ricevuto una rivelazione, bisogno di vita ritirata, bisogni di pregare e di contemplare, costruzione della propria personalità, fiducia in Dio, carriera ecclesiastica, fede in Gesù, imitazione di una persona ammirata come eroe, aiutare il prossimo, superamento di frustrazioni infantili, illusioni, spirito di avventura missionaria, circostanze non guidate, legame edipico con la madre che non permette di legarsi con altre donne, complessi di inferiorità, di superiorità, complessi sessuali, tendenze ossessivo-coatte, ecc. ecc. Ho accennato ad alcune spinte che stimolano il desiderio a entrare in una comunità religiosa. questa è una piccola elencazione delle migliaia di motivazioni.
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Al desiderio del singolo, ecco rispondere la comunità. Essa conosce quel desiderio? È disponibile ad aprire ogni spazio che faciliti la realizzazione di quella persona. Se le motivazioni non sono confacenti agli scopi prefissi dalla comunità, la comunità ha il coraggio di negare la partecipazione di quella persona, anche quando la comunità è povera di membri? O anche: la comunità è disposta ad aiutare quella persona a riconoscere le proprie motivazioni e a integrarle?

Se la comunità accetta, è disposta a ridimensionarsi, a riconosce re i pregi della persona, a richiedere prestazioni che la persona effettivamente è in grado di dare? Come si comporta la comunità (ossia tutti gli altri, tranne il nuovo inserito) per integrare le capacità personali e operative nelle finalità proprie della stessa comunità?
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Se è così complicato integrare una persona in un gruppo ristretto, quali problemi enormi si prospettano, quando gruppi etnici desiderano entrare in una comunità nazionale?

L’inserimento non avviene per automatismi, né grazie a necessità (di lavoro, per esempio), né grazie a buona volontà e carità. Esso avviene con dinamiche specifiche, che la psicologia sociale e la sociologia riconoscono, e che i politici dovrebbero valutare in vista della operatività.

Non c’è meraviglia se l’inserimento, tanto complesso, produce frizioni anche gravi.

14.08.96     GCM